In quel tour virtuale (ma anche reale) che attraversa trent’anni di panchine, ci sono angoli dell’anima che pulsano emozioni: e mentre Real-Napoli s’avvicina, ed è comunque una gran spruzzata di nostalgia, il señor della panchina, Sua Maestà Carlo Ancelotti, sente ancora vivo il clamore degli amici, di allievi come Carvajal che abbattono i luoghi comuni e si schierano. «Più sta qua e meglio è per tutti, pochi altri funzionerebbero come lui al Real». È l’ennesima alba radiosa, sa di nuovo – il primo posto in Liga, dopo il pareggio del Girona – e pure d’antico: ma in quella dimensione futuristica ch’è Valdebebas, quel Gigante d’umanità che è pure uno Scienziato del Calcio, usa le armi (im)proprie dell’ironia e fa sorridere un’intera sala stampa. «Ha ragione Carvajal a chiedere il mio rinnovo, io sto spingendo per restare fino al 2030». Real Madrid-Napoli ha un senso, ovvio che sì, perché chi è Galactico per un attimo lo rimane poi per la vita intera, ma in questo tempo sospeso, in cui le voci diventano echi, il Brasile e quelle enormi suggestioni diventano argomento di disturbo che Ancelotti anestetizza con classe: «Non parlo di argomenti che esulano dalla gara, le do la possibilità di farmi un’altra domanda». E la trappola, scatta d’istinto, avendo a pretesto il rinnovo del Cholo Simeone fino al 2027 con l’Atletico. «Io non penso di essere un allenatore che possa restare quindici anni. Complimenti a Diego, che come Ferguson e Wenger è un caso speciale».
E OTTO. C’è un elenco di assenti che farebbero vacillare anche un francescano, e c’è quell’emergenza possente che toglierebbe tranquillità pure ad un samaritano: ma Ancelotti si nasce, è un sorriso, è un sopracciglio che resta immobile, è buon senso da spargere. «E devo rispetto a chi c’è e andrà in campo. C’è l’occasione di sfruttare il vivaio, figura anche Zidane nelle convocazioni. Il lavoro di Raul è eccezionale, mi dà giocatori pronti, ma comunque ho calciatori come Brahim Diaz, Lucas Vazquez e Fran Garcia che hanno giocato di meno». Ci sarà modo per essere comunque e sempre il Real Madrid, per provare ad eguagliare con 41 vittorie in Champions, Muñoz, entrenador degli Anni 60, e diventare Leggenda con la Leggenda, ma prima, in una vigilia lunga, bisogna isolarsi per pensare al Napoli, che è un bel ricordo mica un’ombra da rimuovere. «Io non ho vendette da consumare, a Napoli sono stato benissimo. All’andata, abbiamo affrontato un’avversaria che ci ha messo in difficoltà con Kvara e Osi e lo farà pure stavolta. L’arrivo di Mazzarri, che è pure un amico, non mi ha stupito. Ho visto contro l’Atalanta l’effetto della sua presenza, le motivazioni speciali che ha scatenato».
LA VOGLIA. Dodici punti in quattro partite inducono a sospettare che possa scapparci l’en plein, sarebbero soldi, prestigio e anche quel vantaggio che si può godere standosene in vetta: «Vogliamo giocare la miglior partita possibile». C’è un attimo di smarrimento collettivo, quando un giornalista inglese si candida per una domanda su Bellingham da avanzare in madre lingua: non si potrebbe, spagnolo o italiano, e Ancelotti, che ha girato il mondo, acconsente, anzi invoca, riscrivendo il protocollo. «Bellingham ha sfatato un luogo comune: a volte si dice che gli inglesi facciano un po’ di fatica ad adattarsi al calcio spagnolo, mentre lui è stato professionale, maturo, serio. Giocatore eccezionale». Eccezionale, già.
Fonte: CdS