Ramadani indossa una felpa pro-Kosovo e fa infuriare i serbi

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Si riaccende lo scontro – politico – tra Albania, Serbia e Kosovo. Ad innescare la miccia dell’incendio è una felpa indossata dal centrocampista albanese Ylber Ramadani, da quest’anno in forza al Lecce.

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Al termine della gara pareggiata per 1-1 contro la Moldavia (punto che ha dato agli albanesi la matematica certezza della qualificazione a Euro 2024, a distanza di otto anni dall’exploit con Gianni De Biasi in panchina), Ramadani si è infatti presentato alle telecamere per le interviste post-partita con una felpa dallo sfondo nero su cui è raffigurato un uomo dalla folta barba: si tratta di Adem Jashari, una delle figure di maggior spicco nella campagna per l’indipendenza del Kosovo. Fondatore dell’Esercito per la Liberazione del Kosovo (UCK), Jashari venne massacrato assieme a parte della famiglia il 7 marzo 1998 dalle milizie serbe, a colpi di kalashnikov. 

In casi simili, e non potrebbe essere diversamente, la figura di Jashari viene raccontata in modi opposti a seconda dei punti di vista. Per kosovari e albanesi si tratta di un martire della patria, mentre per i serbi è un terrorista che è stato giustiziato al termine di un’ordinaria azione di polizia. Dunque, non è difficile intuire come mai l’immagine della felpa indossata da Ramadani davanti alle telecamere abbia generato immediatamente proteste e malumori in Serbia. Il calciatore del Lecce, parallelamente, ha rivendicato il gesto di indossare quella felpa come atto identitario. Calcio e politica s’intrecciano ancora una volta.

 

Fonte: calciomercato.com

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