22 agosto 2021, durante Napoli-Venezia (prima di campionato) il nigeriano sbraccia in area di rigore, colpisce sul volto un avversario, viene espulso e lascia il Napoli in 10.
Spalletti non la prende benissimo e subito dopo la partita lo bacchetta. «Osimhen deve stare attento alle sue reazioni emotive, istantanee, perché è attaccante forte, i difensori tenteranno sempre di dargli fastidio provando a limitare la sua esuberanza fisica: lui le mani addosso le avrà sempre e deve stare più attento».
Parole seguite da un lungo colloquio faccia a faccia con l’attaccante. Si chiariscono, Luciano gli spiega quanto sia importante il suo contributo alla causa e soprattutto quanto debba cambiare i suoi atteggiamenti. Per tutto l’anno le cose vanno. La ramanzina funziona.
Fino al ritiro estivo di Castel di Sangro. E il 24 luglio 2022, manca ancora un quarto d’ora abbondante alla conclusione della partitella, quando Spalletti invita Osimhen a togliere la pettorina e a uscire dal campo. Succede tutto in qualche frazione di secondo, ma le urla e i movimenti vistosi del nigeriano ci mettono un attimo a catalizzare l’attenzione di tutti: tifosi, compagni, staff e addetti ai lavori. Durante la partitella a campo ridotto Anguissa commette un fallo a centrocampo su Ostigard che però non viene sanzionato dall’arbitro (Spalletti).
Osimhen prende le parti del norvegese e inizia a sbracciarsi. Prima nei confronti di Anguissa – colpevole di essere entrato troppo duro sull’avversario di turno – e poi si rivolge a Spalletti, che a detta sua non avrebbe redarguito a dovere il camerunense. Ne viene fuori una mini-lite della durata di dieci secondi, non di più, quelli che bastano all’allenatore del Napoli a indicare a Osimhen la strada degli spogliatoi.
Nel tragitto verso l’uscita del campo, poi, il nigeriano prosegue nelle proteste e si rivolge ai compagni di squadra nel vano tentativo di solidarietà. Per la schiarita si dovrà attendere il mattino seguente con l’allenamento e l’abbraccio risolutore. Cose di campo, ma che con Spalletti duravano un amen: perché aveva in mano il gruppo e la massima fiducia dei suoi leader tecnici.