C i sono tesi, perfettamente contrarie, che restano a galleggiare in questo vuoto ch’è il mercato: e poi c’è una verità, piaccia o no, ed è indiscutibile, sulla quale è persino vietato accapigliarsi. C’è una squadra, campione d’Italia, che ha scelto di restare se stessa: non ha più l’allenatore geniale dello scudetto (Spalletti) e non ha più neppure il suo architetto folle e visionario (Giuntoli), ha perso Kim, e ci sta, ma è rimasta semplicemente eguale al passato, ha un uomo che sposta i valori (ed è Osimhen), ne ha un altro che aiuta dribblare pure i cattivi pensieri (ed è Kvara), poi ha ancora la materia grigia, tanta, degli Zielinski e dei Di Lorenzo, e la fisicità – mescolata all’eleganza – rassicurante degli Anguissa: ma ci sarebbe altro, gli «eroi» tutti, nessuno escluso, che bastano ed avanzano per fare di Napoli un’isola felice. Poi di fronte c’è quell’altro atollo, la dimora del pessimismo cosmico o anche comprensibile, accoglie chi non si accontenta di Natan e di Cajuste, perché teme non bastino per sistemarsi tra le pretendenti al titolo: ma questo è il calcio di sempre, ad agosto va così, e ci sta che si scontrino teorie di pensiero.
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Aurelio De Laurentiis osserva e tace, ha evitato il 12 agosto di dire la sua, si è tenuto per sé le proprie riflessioni, ci ha messo la firma, dunque anche la faccia, cooptando per un bel po’ tutte le funzioni del presidente-manager: Mauro Meluso, il diesse, è arrivato tardi, il 13 luglio, e con garbo si è introdotto in un sistema nuovo e in un progetto per alcuni versi già avviato ma ora assorbito.
De Laurentiis ha avocato a sé le responsabilità, se l ’ è tenute e le ha governate in un silenzio che sembra una protezione, in attesa che arrivino le scadenze, quella del primo settembre ad esempio: fece più o meno così dodici mesi fa, quando andarono via Insigne, Koulibaly, Mertens e compagnia; ha scelto lo stesso atteggiamento, ignorando le legittime fibrillazioni ambientali ispirate dalla diaspora o da turbamenti che si avvertono nell’aria.
IL SUO NAPOLI. Stavolta, e il «rischio» sta lì, è compiutamente il Napoli di Aurelio De Laurentiis, dopo ch’è stato quello di Spalletti e di Giuntoli: è una squadra che sa del passato ma che è rimasta sostanzialmente immutata resistendo alle tentazioni, abbracciando a sé Osimhen, Zielinski e Kvara – in attesa dei rinnovi – evitando di alimentare intorno ai gioielli, ci sono anche Raspadori e Simeone, un mercato dal quale Adl si è tenuto alla larg a , in un senso e pure in quell’altro. I
l Progetto è racchiuso negli investimenti più recenti, nella assoluta credibilità tecnica di giocatori che sono stati in grado di realizzare un sogno, stavolta custodito dentro una politica conservativa, un po’ diversa dalle precedenti estati, spesso caratterizzate da trimestri pirotecnici, persino rivoluzionari. Stavolta, la sfida – che è comunque alternativa – alla Juventus e al Milan, all’Inter e alla Roma, alla Lazio e all’Atalanta, a chi si è mosso, a chi lo sta facendo, è stata racchiusa in un apparente immobilismo, una strategia che può apparire supponente oppure anche no, semplicemente equilibrata. Quasi un modo per darsi una nuova identità: la propria.