L’ex Montefusco a “Il Mattino”: “Mi piaceva allenare i giovani. Non solo Moratti stravedeva per me, mi voleva la Juve. I miei idoli”
Il suo nuovo ruolo nel calcio è quello di opinionista televisivo e radiofonico. «Ma, attenzione, solo a patto che si parli di questioni tecniche: il resto, il gossip, non mi interessa», spiega Vincenzo Montefusco, classe 1945, napoletano dell’Arenaccia. Ex giocatore, allenatore e dirigente del Napoli. «Mi sarebbe piaciuto continuare ad occuparmi del settore giovanile azzurro. Quanti ragazzi lanciammo e che soddisfazione fu conquistare la Coppa Italia contro l’Atalanta di Prandelli. Ma poi…».
Ma poi?
«Avevo un contratto di due anni con il Napoli, però Ferlaino divise la proprietà con Corbelli e a quel punto mi sembrò giusto farmi da parte».
Lei è stato sulla panchina della prima squadra nell’ultima fase di tre consecutivi campionati, dal 1997 al 1999.
«Si ricorda la seconda esperienza, quella della retrocessione in B. Ma il destino era segnato dall’inizio della stagione, io da uomo società accettai di guidare il Napoli nel triste finale e dissi all’amico fraterno Juliano, allora direttore generale, che non avrei continuato. L’anno precedente, piuttosto...».
Quello della finale di Coppa Italia persa contro il Vicenza.
«Ecco, lo sapevo… Perché non parlare di quello che eravamo riusciti a fare pochi giorni prima della finale, quando centrammo la salvezza tra tante difficoltà? Mi ero ritrovato sulla panchina del Napoli poche settimane prima, quando Ferlaino decise di esonerare il mio amico Simoni. Sapete, non gli andò giù quella telefonata».
Quale telefonata?
«Eravamo nel ristorante del Centro Paradiso e a Gigi arrivò la chiamata di Moratti, il presidente dell’Inter, il suo prossimo club. Ferlaino si irritò e così Bianchi, mio ex compagno e all’epoca direttore generale del club, mi convocò all’hotel Excelsior. Io gli dissi: “Ottavio, perché non vai tu in panchina? Sei stato l’allenatore dello scudetto…”. E lui: “E vorresti dare a me questa patata bollente?”. Ci salvammo ma ancora ricordano quella finale. Una partita maledetta».
Perché?
«L’affrontai con una squadra a pezzi, costretto a far giocare alcuni ragazzini perché c’erano tanti infortunati. Mi rinfacciarono di non aver fatto giocare il brasiliano Beto: ma perché non ricordano che si era operato poche settimane prima al menisco ed era di fatto indisponibile?».
A vent’anni si trovò nella Grande Inter di Herrera per pochi giorni.
«Moratti padre, Allodi ed Herrera stravedevano per me, ritenevano fossi il calciatore adatto come vice di Suarez. Giocai la prima partitina di allenamento nella cosiddetta Inter A ma quella esperienza durò pochi giorni perché Zaglio non volle trasferirsi al Napoli. Scambio saltato e io felicissimo di tornare a indossare la maglia azzurra anche se in serie B. Per me il Napoli è venuto sempre prima di tutto, anche quell’altra volta…».
Quando?
«La Juve offrì 600 milioni per il mio cartellino e io aspettai le notizie in arrivo da Milano, sede del calciomercato, sotto la sede del Mattino in via Chiatamone. A mezzanotte, quando sfumò il trasferimento, esultai: felice e orgoglioso di restare a Napoli. Sembrerò un pazzo soprattutto al giorno d’oggi, però io mai mi sono pentito di aver rinunciato a quei due club e a tanti soldi. E pensare che l’Inter mi aveva spedito dal migliore cardiochirurgo d’Italia, il professore Dogliotti, per curare un’aritmia cardiaca e ricevere il via libera per il tesseramento».
I suoi idoli da ragazzo?
«Bugatti, Posio e soprattutto Vinicio. Quando ero al Foggia, Luis allenava il Brindisi. Mi incontrò all’hotel Majestic e mi disse: “Vincenzo, resta a Foggia perché andrò io ad allenarlo”. Gli risposi che mi dispiaceva ma desideravo rientrare a Napoli. Pochi giorni dopo lui si accordò con Ferlaino e così pensai che, essendo stimato da Vinicio, avrei avuto spazio. Mi fece giocare pochissimo invece. A distanza di trent’anni gli dissi: “Luis, ma perché non mi facevi mai giocare?“. E lui: “Ancora pensi a quell’anno…”. Eh sì, certo che ci pensavo ancora».
Fonte: Il Mattino