Baggio: “Napoli miglior squadra d’Italia, Osimhen e Kvara fortissimi. Complimenti al presidente De Laurentiis”

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Parola di Baggio. Il più carismatico e riservato dei nostri campioni si racconta, in esclusiva per noi, alla vigilia del nuovo Campionato. Sul numero di Sportweek , in edicola domani con la Gazzetta troverete l’intervista integrale. Qui invece potete leggere una sintesi del nostro incontro con il Divin Codino, fantasista di Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia: Pallone d’Oro nel 1993.

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Oggi riparte il campionato di Serie A. In questi momenti sente il richiamo della foresta? Le manca il calcio giocato? E che cosa le manca?
«Invidia assoluta per chi può ancora farlo. A me giocare a calcio piaceva proprio tanto. Ogni tanto mi capita di pensare alla gioia che mi dava il fare certe cose con la palla. Ma anche la fatica degli allenamenti, quella fatica che ti fa star bene… Quella sensazione di appagamento per avere lavorato con impegno».

Fa ancora qualche partitella fra amici?
«Ho chiuso definitivamente dopo la partita a Roma per Papa Francesco, nel 2014. C’era anche Maradona e volevo far bella figura. Per tre mesi sono andato a Bologna, tre volte alla settimana, per giocare almeno un tempo. Nell’ultimo giorno di allenamento ho pensato bene di tirare cinque punizioni. Alla terza mi sono strappato. Sono andato a Roma che non camminavo, ma ho giocato comunque un tempo perché mi ero preso un impegno. Ho dovuto dire: mai più».

Baggio accetterebbe un’offerta spaziale del calcio arabo?
«Non lo so. Ai miei tempi ho ricevuto offerte importanti dalla Spagna e poi soprattutto dal Giappone. Ma io avevo un chiodo fisso che era la Nazionale. Ho voluto restare in Italia per conquistare sempre la maglia azzurra. Ecco, in Giappone ci volevo andare, ma ai Mondiali del 2002».

Che cosa pensa dello scudetto del Napoli?
«Mi ha fatto molto piacere. È stata la squadra che si è espressa meglio per tutto l’anno. Ha giocato davvero un buon calcio e ha messo in luce giocatori fortissimi come Kvaratskhelia, Osimhen, ma mi è piaciuto tanto anche Kim, lo stopper. Credo che alla fine faccia bene al calcio avere una squadra diversa dalle solite note che vince lo scudetto. Devo fare i complimenti al presidente De Laurentiis, a Spalletti, a tutti… Hanno smantellato la vecchia squadra e ne hanno costruita una fortissima ».

C’è qualcosa di questo Napoli che le ricorda quello di Maradona?
«La gioia di giocare al calcio. E non è vero che il Napoli degli Anni 80 era solo Maradona. C’erano campioni di qualità come Careca, De Napoli, Carnevale. Dietro a Diego c’era un gruppo molto forte».
Ha seguito i movimenti del mercato estivo? Chi si è rinforzato di più?
«Ho seguito poco, ma due movimenti mi sono rimasti in testa. Il primo è il passaggio di Tonali al Newcastle, che non mi aspettavo. Il Milan senza di lui perde molto. L’altro è il passaggio di Frattesi all’Inter, perché è un giocatore che mi piace e che seguo. Bel colpo».

Come si riparte? Chi vede favorito per lo scudetto?
«Difficile capirlo adesso. Tutti hanno cambiato qualcosa e le milanesi in particolare hanno cambiato tanto e hanno provato a rinforzarsi, ma hanno bisogno di tempo per trovare la quadra. Il Napoli vorrà confermarsi e la Juve proverà a riscattarsi con il vantaggio di poter puntare tutto sul campionato. Sarà importante vedere come partono. Lo scorso anno il Napoli è partito bene e poi ha continuato in fiducia».

Lei è un campione icona del calcio mondiale e gode della stima incondizionata anche degli ex rivali.
«Non posso nascondere che mi faccia piacere. Credo di avere avuto un po’ di talento, ma penso di essere stato apprezzato perché ci ho lavorato su tanto e perché mi sono comportato sempre con lealtà e serietà con tutti. C’è un episodio che ha raccontato mio figlio più piccolo che mi ha commosso. Eravamo insieme alla partita di addio di Andrea Pirlo e mio figlio si è avvicinato a uno di loro per chiedere un autografo e superando la timidezza gli ha detto: “sono Leonardo Baggio, mio papà ha giocato con te…”. E lui, con il suo sorriso unico gli ha risposto: “No… Sono io che ho avuto il privilegio di giocare con tuo papà!”».

Chi era?

«Uno che purtroppo non c’è più. Gianluca Vialli, e il solo pensiero mi fa venire la pelle d’oca. Mio figlio è nato nel 2005, quando io avevo già smesso di giocare, ma ci sono ancora tante persone che mi vogliono bene e gli raccontano che qualcosa di buono l’ho combinato. Ecco, l’amore della gente e la stima dei miei colleghi mi riempiono d’orgoglio». Quando le capita di ascoltare la canzone di Francesco De Gregori che dice “Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore”, a che cosa pensa?
«Cambio disco, metto i Pooh…».

Ha fatto pace col tiro sbagliato dagli 11 metri nella finale con il Brasile al Mondiale ’94?

«Pace è una parola grossa… È qualcosa che non si cancella. Vincere un Mondiale era un sogno che inseguivo fin da bambino e in America è finita nell’unica maniera che non avevo nemmeno considerato. Non sapete quante volte avevo sognato di disputare la finale, di fare gol e di vincere per fare esultare l’Italia. E invece il treno dei desideri è andato all’incontrario…».

Eppure si dice che da quei momenti si impara. Si cresce.

«Oggi forse potrei dirvi di sì. Oggi. Ma quel giorno, il giorno dopo e i mesi dopo, chi avesse detto che quella sconfitta insegna qualcosa si sarebbe preso un solenne vaffa… Poi, come canta Diodato, la vita volte ti mette davanti all’inatteso, “sul filo di un destino che può cambiare…”. Credo che in quel momento accusi il colpo, ma devi anche decidere chi vuoi essere in futuro: puoi piangerti addosso per tutta la vita o puoi alzare la testa e guardare avanti per riscattarti. Quella scelta determina chi sarai in futuro. In questo senso sì, è stato un momento di crescita».

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