ESCLUSIVA – KVARA alla Gazzetta: “Incredibile, dopo 33 anni sono il riferimento di una nuova una generazione”

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Dietro quel sorriso timido c’è la semplicità di un ragazzo normale che vive una condizione eccezionale. A Castel di Sangro, tutto parla di lui: dalle migliaia di magliette col numero 77 in coda all’esterno dello stadio a caccia di un autografo ai manifesti che rendono omaggio al Napoli campione d’Italia. Ma Khvicha Kvaratskhelia non si scompone, non è cambiato di una virgola rispetto al giorno in cui ha mosso il primo passo sul pianeta Napoli. Semmai, è cambiato l’amore del popolo azzurro verso di lui: smisurato, infinito, travolgente. Kvara è stato l’uomo della rivoluzione, un Masaniello del pallone capace di stravolgere ogni tipo di certezza in A. Ha dimostrato che a Napoli si può vincere anche senza Maradona, che in Italia si può dominare anche giocando al Sud, che in Europa si può essere un esempio anche se non hai tatuaggi e il taglio di capelli non segue l’ultima moda. Khvicha è il Normal One per eccellenza. Nella vita privata, si intende. Perché dentro al campo è tutto un altro mondo, fatto di finte, sterzate, tunnel, piroette, assist e gol. Nel ritiro di Rivisondoli c’è la collega/interprete Salome Kharatishvili a fare da ponte tra la nostra curiosità e il magico mondo di Kvara. Che sembra l’amico della porta accanto: un antidivo con gli occhi ancora pieni di sogni e il piacere di stupire.

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Khvicha, al primo anno si è preso tutto: scudetto, miglior giocatore della Serie A e gol più bello. Pensava di poter avere un impatto così devastante?«Credo che sia stato un anno incredibile per tutti, non solo per me. Nessuno si sarebbe aspettato lo scudetto a Napoli dopo 33 anni, ma la nostra preparazione e la volontà di dare il massimo sempre hanno fatto la differenza. Quindi non esistono meriti personali di fronte a un risultato così straordinario».

Quando avete capito di avere lo scudetto in mano?«Dopo la partita con la Juve era chiaro a tutti che eravamo vicinissimi e da lì ogni partita era una festa, in attesa dell’aritmetica certezza. Sono stati giorni incredibili, abbiamo vissuto emozioni infinite».

A cominciare proprio da quella notte di rientro da Torino. Il gol di Raspadori alla Juve ha portato Napoli a riversarsi per strada per un abbraccio tricolore.«Il nostro manager ci aveva avvertito di cosa potevamo trovare, ma non puoi immaginare una cosa così, è stata choccante. Ci abbiamo messo un’ora per uscire dall’aeroporto. È stato emozionante e commovente muoverci tra la folla, sentire la gente che chiamava i nostri nomi. Lì abbiamo realizzato di essere a un passo dallo scudetto, quella sera nessuno potrà mai dimenticarla. E io ho ancora il famoso cappello di carta: se vuole glielo vendo (ride, ndr)».

Beh, c’è tutto il senso di Napoli in quella notte. A proposito, è riuscito a scoprirla un po’?«Purtroppo, non riesco ad uscire molto, sarebbe difficile gestire questo immenso amore delle persone. La cosa che mi ha sorpreso di più appena arrivato a Napoli era che la gente mi riconosceva da subito, anche se ero un mezzo sconosciuto. Sono riuscito a visitare Pompei con la mia famiglia però. Di Napoli amo due cose, i paesaggi e i tramonti. Forse ce ne è una terza, quanto è buona la pasta al pomodoro! La adoro».

Parliamo di calcio. Si può dire che Spalletti per lei è stato come un padre?«Sì. E non riuscirò mai a ringraziarlo abbastanza. È stato una svolta per la mia carriera: mi ha dato la possibilità di giocare ad altissimi livelli e mi ha sostenuto sempre, anche nei momenti più difficili. Quando non riuscivo a dare il meglio, lui era sempre lì a incoraggiarmi, a proteggermi, a consigliarmi come affrontare le cose. Se sono diventato il giocatore di oggi, il merito è suo».

Il presidente De Laurentiis merita un grazie?«Certamente, lui ha avuto tanta fiducia in me. Ha creduto in un ragazzo sconosciuto facendo un investimento importante. Ha corso il rischio…».

E adesso come può aiutarla Garcia?«Migliorando la mia qualità. Per ora stiamo studiando il suo modo di fare calcio e ogni giorno impariamo qualcosa di nuovo. Mi piace come uomo e come allenatore, sono sicuro che ci aiuterà a vincere ancora».

Il Napoli può ripetersi?«Ovviamente giochiamo per vincere ogni partita, poi vedremo se saremo in grado di ripeterci. Rispettiamo tutti, ci sono tante squadre forti che giocano bene. Ma credo che, anche le avversarie, non sono così felici di sfidarci…».

Lei e Osimhen formate una delle coppie più belle d’Europa. Vi siete trovati in modo naturale?«Sapevo che era un calciatore molto forte, mi ha colpito però l’umiltà del ragazzo Victor: si entra subito in sintonia con lui e il nostro feeling si vede pure in campo. Anche se non lo vedo, so già dov’è, so come servirlo, mi sembra di sentire il suo movimento sempre. E lo stesso vale per lui».

“Kvaradona” è un soprannome che le piace o le mette addosso troppa pressione?«Mi rende orgoglioso ovviamente. Ed è pure una grande responsabilità essere accostato a un calciatore così grande come Maradona».

Lei è il mito delle nuove generazioni: i bambini indossano tutti la 77, come si faceva con la 10 di Diego. Rimarrà per sempre un’icona di Napoli.«Incredibile pensare che dopo 33 anni c’è una nuova generazione che ha preso me come riferimento. Ma non sono solo i bambini, anche gli adulti ci trasmettono un amore così grande da farti sentire responsabile della loro felicità. Loro ci danno motivazioni ed energia che poi trasformiamo sul campo come motore per la vittoria. Il loro sostegno non ci è mai mancato».

In Italia c’è un altro mito georgiano, ma nel basket: che rapporto ha con Shengelia?«Toko è un grande della pallacanestro e lo stimo tantissimo. Abbiamo un ottimo rapporto, è venuto anche a vedermi a Udine la sera che abbiamo vinto lo scudetto. E poi è tornato a trovarmi a Bologna, dove gioca: e lì ci siamo scambiati le maglie».

Mito per mito: sogna di diventare lo Stephen Curry del calcio?«Non mi permetterei mai di dire che posso arrivare all’altezza di Steph. Ma posso garantire che darò il meglio per lasciare il mio segno nella storia del calcio».

A proposito di meglio, quanto pesò aver sbagliato quel gol in Champions all’andata contro il Milan in avvio e poi pure aver fallito il rigore al ritorno? Sarebbe cambiata la storia del Napoli in Europa?«Questo non lo sapremo mai. Però dagli sbagli si impara e si migliora. Da quell’episodio ho imparato tanto, ho capito dove posso e devo migliorare. In Champions meritavamo di più ma abbiamo la possibilità di riprovarci nella prossima stagione».

Dopo l’eliminazione Leao postò una sua foto con scritto “crack”.«Mi piace la sua semplicità, la sua umiltà. Sul campo è un campione e fuori non è da meno. Lo rispetto tanto, mi ha reso felice con quel gesto così gentile. Ci siamo scambiati la maglia e io gli ho augurato il meglio, perché se lo merita davvero».

 

A cura di Vincenzo D’Angelo (GdS)

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