L’ex Montervino: “Il mio scudetto è stato il ritorno in A con il Napoli”

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La fascia di capitano è una costante per Francesco Montervino. Il capitano del Napoli che con gli azzurri è ripartito dalla C fino ad arrivare in Europa League, ha indossato la fascia anche a Salerno e prima ancora ad Ancona. Oggi è il diesse del Casarano dopo essere stato dirigente nella sua Taranto dove aveva mosso i primi passi da calciatore ed indossato, guarda un po’, la fascia di capitano. Oggi guarda da spettatore interessato il calcio a 360 gradi oltre ad essere opinionista tv per il Napoli su Canale 8.

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Da quanto tempo non passa l’estate sotto l’ombrellone? «Da una vita. Forse non l’ho mai passata, perché anche quando mi sono preso una pausa ero sempre impegnato nel mondo del calcio. Ma alla fine l’ombrellone diventa un peso». Eppure stavolta l’abbiamo intercettata di rientro dalla Sardegna.
«Il tempo di un saluto nel week end alle mie figlie Ginevra e Greta che sono li in vacanza». Ci sblocchi un ricordo che le sue figlie le rispolverano spesso come calciatore? «Ginevra la primogenita (17 anni) quando rivediamo le foto dei campionati a Napoli, ricorda dei festeggiamenti in città per le varie promozioni. Greta, la seconda (13 anni), fa altrettanto per quelli vissuti a Salerno». C’è un derby in casa? «Assolutamente. Ginevra, tifosa del Napoli e Greta fan sfegatata dei granata. È una bella lotta (sorride): ho un derby in casa legato al calcio». Dall’Ancona al grande salto con il Napoli…
«Assolutamente: è stato il coronamento di un sogno. Dopo 5 anni e mezzo in una città bella e tranquilla, la mia era una ricerca del calore, del bruciore di stomaco, paradossalmente del nervosismo. Insomma volevo vivere quel tipo di emozioni».

 

Dalla C all’Europa Legue. «Il tutto in poco più di tre anni. Un salto clamoroso. Siamo passati dal giocare a Gela e a Martina Franca all’affrontare il Benfica». Poi il passaggio alla Salernitana: un’altra scommessa vinta dopo le ceneri di un altro fallimento.
«Lo dico da sempre: non portò mai avere un risultato raggiunto con facilità. Sembra che prima di raggiungere un obiettivo devo soffrire e ripartire da zero». Proprio per questo i successi sono più belli? «Si, ma anche stancanti. Anche ora come ds a Casarano: l’anno scorso abbiamo fatto i playoff e sembra quasi che avessimo steccato una stagione». Che sensazione ha provato quando Di Lorenzo ha alzato la coppa dello scudetto? «Bello, bellissimo. Ero al Maradona su invito del presidente De Laurentiis (insieme a Paolo Cannavaro e Lavezzi ndR).
Sensazioni importanti che ti inorgogliscono. Tanta roba». Appesi gli scarpini al chiodo non ne ha voluto sapere di smettere: agente, allenatore e infine direttore sportivo prima a Taranto, oggi a Casarano con qualche flirt anche in Campania. Per non parlare del ruolo di opinionista e commentatore degli azzurri. E domani? «E domani… non è semplice. Non ho più voglia di traccheggiare nei dilettanti. Voglio sperare che sia l’ultimo anno. Mi gioco il tutto per tutto. Se non dovessi riuscirci mi troverei ad un bivio importante per il mio futuro». Cosa significa indossare la fascia di capitano per un calciatore? «È una responsabilità. Ti fa crescere prima. Il fatto che faccia il direttore sportivo credo sia frutto anche e sopratutto di quella esperienza».
È diverso in piazze diverse? «Io sono stato fortunato perché ho quasi sempre giocato in piazze calde. È fuori discussione poi che Napoli ti catapulta in un mondo diverso. Quando si parla di capitani più importanti si parla di Milan, Juve, Roma, Lazio e Napoli». E… Napoli? «Credo di aver rappresentato la rinascita. Il capitano che ha riportato a Napoli quella voglia di sentirsi di nuovo importanti. Posso dire con orgoglio di aver fatto parte di quel Napoli catapultato nelle prime 6/7 società italiane. Il mio scudetto è stato il ritorno in A con gli azzurri».

 

Fonte: Il Mattino

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