Gazzetta – “SPALLETTI VOGLIA MATTA”. Gli arabi lo vorrebbero, lui ha in testa altro: “Nessuno mi ha cercato!”
Un fantasma si aggira incessante su e giù per l’Italia. Al volante del suo Suv. Tra Montaione, Forte dei Marmi, Milano e Lerici, le case di famiglia, e divagazioni ovunque, tra premi da ritirare, appuntamenti da non mancare e amici da salutare. Irrequieto come solo i fantasmi senza pace e senza fissa dimora. Essendo rimasto fermo nel tempo, la festa esagerata di Napoli, la gioia dei napoletani, non gli resta che muoversi nello spazio. Nelle soste del viaggio, rivede e diffonde a distanza di quasi due mesi i video di quel delirio. Non si stanca mai. Luciano Spalletti viaggia e s’interroga. Giorno e notte. Dorme il minimo che gli basta, ed è davvero il mimino.
I canti del Napoli e delle sirene Cosa fa al volante? Ascolta canti del Napoli e s’interroga sul suo desiderio. Che fare di sé e della sua vita. Essendo lui stesso l’oggetto del desiderio. Di tanti. Se glielo chiedi, nega: «Nessuno mi ha mai cercato». Non c’è verso. Si farebbe strangolare con un cappio di spine piuttosto che ammetterlo. Alza il ponte levatoio. La realtà è un’altra, esattamente opposta, e gli operatori di mercato lo sanno bene. Lo cercano in tanti. Flauti e sirene. Blandizie da ogni angolo del mondo. Gli arabi lo vorrebbero anche subito. Sono pronti a fargli ponti d’oro, l’Al Ahli, ma non solo. Club italiani e inglesi hanno fatto sondaggi. Spalletti, ascolta, tace, rumina. E s’interroga. Volete farlo incazzare di brutto? Parlategli di “anno sabbatico”. Mai detta ‘sta roba del “sabbatico”. Lui vuole solo capire. E capire Spalletti, anche essendo Spalletti, è roba che strizza anche cervelli molto attrezzati. Il fatto è questo. Lui ha lasciato con un gesto unilaterale la sua amata. Il Napoli. Facendo esattamente il contrario di quello che predica Baltasar Gracian, noto gesuita: «È saggio abbandonare le cose che ci abbandonano». Luciano ha abbandonato qualcuno e qualcosa che non ci pensava proprio di abbandonarlo. Ha abbandonato un amore per “eccesso di amore”. E di stress. Che, in certi casi, coincide con l’amore. E ora s’interroga. Sta esplorando la sua testa complicata. Che, al confronto, la mappa del Botswana è un gioco da poppanti. Ha chiuso con il suo passato, ma Napoli e i napoletani non saranno mai il suo passato. Ha chiuso piuttosto, e risolto consensualmente, i rapporti con un presidente con cui non c’è mai stato feeling e non poteva esserci, considerando i caratteri e i ruoli. Ora Spalletti deve fare i conti con il peso di un addio. Una storia troncata sul più bello, si sa, attizza il fuoco, non lo spegne.
Domande e turbolenze Nostalgia, noia, stanchezza, voglia di ricominciare. Il vuoto di adrenalina che stressa il serbatoio più del pieno? Smettere o rilanciare? La nostalgia, un languore che ti paralizza o un motore per ricreare altrove quelle condizioni? Amare il proprio mestiere che sarà significa tradire quello che è stato? E perché mai? Tante domande, tanta turbolenza. I tifosi napoletani l’hanno genialmente replicato anche per l’addio di Kim: «Non importa quanto tempo siamo stati insieme, importa cosa abbiamo vissuto insieme». Quando tornerà ad allenare? Sei mesi? Dodici? Mai più? Sarà solamente lui a saperlo e a deciderlo. Spalletti sta cercando di capire cosa vuole. La mia idea? L’uomo di Certaldo non è pronto per separarsi dal suo destino forte di uomo forte (ma quanto tormentato). La panchina sarà ancora a lungo la sua casa e prima di quanto lui stesso immagini. Non mi stupirei affatto di vederlo allenare già a gennaio.
Ha di nuovo fame e voglia Lo Spalletti alimentato di oggi non è quello esausto di due mesi fa. La fame di pallone comincia a intrufolarsi subdola nel suo bunker spinoso. Si fa largo un tenue accenno d’infelicità. Se l’infelicità di tenersi lontano dallo stress diventerà più forte dello stress stesso, Spalletti agirà di conseguenza, senza far torto a nessuno, meno che mai a se stesso. Alla faccia dei “sabbatici”. Lui fa di tutto per darsi una normalità, ma la normalità di Spalletti è una camera di tortura. Una sezione di Guantanamo. Dove lui è, allo stesso tempo, il torturato e il torturatore. La sua condanna? Prendere tutto inesorabilmente sul serio. Che si tratti di scegliere un vino da bere, una scarpa da indossare o una parola da dire. Per il resto, di questi tempi, si svaga con poco. Quando sta in famiglia e con gli amici storici, le galline del Cioni, una funambolica banda di geniacci pronti a tutto, dal turpiloquio più greve al gesto d’amicizia più lirico. A proposito di amici. L’hanno visto sorridere di gusto l’ultima volta, Spalletti, quando gli hanno scaricato nella tenuta di Montaione le due mucche che gli ha regalato l’amico di sempre Lucio Presta. Luciano che, tra le tante fisime, odia sentirsi in debito con chiunque, amici inclusi, gli ha regalato in cambio due capre. Pari e patta. E tutti (moderatamente) felici.
A cura di Giancarlo Dotto (Gazzetta)