L’intervista a Peppe Bruscolotti: “Di Lorenzo, ultima bandiera della serie A”
Tonali, Milinkovic-Savic e via via tutti gli altri. Il calcio italiano è cambiato e le bandiere non sventolano più. Una (brutta) tendenza che meriterebbe di essere invertita, in fretta. Lo sa bene anche Peppe Bruscolotti, che proprio del Napoli è stato una bandiera con la b maiuscola.
Che effetto le fa questo fenomeno? «Il calcio è cambiato anche in questo. Si è persa la figura del simbolo e della bandiera. Più passa il tempo e più mi rendo conto che si va verso un calcio totalmente diverso».
I suoi tempi sembrano sempre più lontani… «Ripenso ai Mazzola e ai Rivera che spesso dovevo anche marcare, mentre Baresi e Maldini erano dall’altra parte del campo rispetto a me, ma li guardavi e sapevi di avere un punto di riferimento».
Il suo quale è stato? «Sono cresciuto con il mito di Burgnich che era la bandiera dell’Inter di Moratti. E infatti sognavo di diventare come lui, mi sono ispirato a quella figura».
E ci è riuscito. «Per quella che è stata la mia figura sono rimasto e sono ancora un simbolo per tanti. Lo dimostrano i fatti più recenti, quando per il terzo scudetto del Napoli ho partecipato a decine di eventi perché ancora oggi mi identificano come un simbolo di Napoli e della napoletanità».
Da questo punto di vista il Napoli di oggi ha Di Lorenzo. «È un uomo simbolo: è il capitano e la bandiera di questo Napoli e ha dimostrato di esserlo. Anche per la squadra e la città. È un esempio per quelli che crescono. E penso che per la società sia importante avere un elemento così nello spogliatoio. È un capitano italiano e ha imparato ad amare Napoli, una città che è impossibile non amare».
È pronto a legarsi ancora a vita al Napoli: se lo aspettava? «Non mi stupisce che voglia rimanere a Napoli a vita, perché ha creato un rapporto speciale con la piazza».
Sono andati via Tonali e Milinkovic-Savic: quali sono le ultime bandiere della Serie A? «A parte Di Lorenzo si fa fatica a localizzarne altre».
Cosa si può ipotizzare per invertire questa tendenza? «Gli stranieri dovrebbero essere di meno e bisognerebbe dare più spazio agli italiani. Ci sono tante squadre fatte in gran parte da stranieri. Una buona rappresentanza italiana ti darebbe più forza».
Sembra quasi che il fenomeno più diffuso sia quello del “mordi e fuggi”, come se lo spiega? «I calciatori non ci pensano proprio a legarsi a un club. Si sono mentalizzati sul fatto che possono stare un anno o due e poi andranno via, per questo non nasce nemmeno il legame. Tonali che lascia il Milan è il segnale più chiaro, poteva essere il simbolo di un’era rossonera. Ai miei tempi un addio del genere sarebbe stato impensabile».
Fonte: Il Mattino