«Questi investimenti monstre non potranno durare a lungo, arriverà la fase di stabilizzazione anche per il calcio arabo». L’avvocato Salvatore Civale, tra i maggiori esperti di diritto sportivo, ha curato in queste settimane alcuni dei più importanti trasferimenti di calciatori dall’Europa in Arabia Saudita.
Avvocato, è solo la forza del petrolio ad avere sconvolto il mercato calcistico internazionale con questi assalti a Premier e Serie A?
«C’è altro. In Arabia Saudita il netto è uguale al lordo, non vi sono tasse e imposizioni fiscali. In tutti i Paesi europei, a cominciare dall’Italia, è invece significativa la pressione del fisco».
Per i club europei non sembrano esservi vantaggi. Milinkovic Savic è stato pagato 40 milioni dall’Al-Hilal, quanti ne aveva chiesti il suo presidente Lotito alle società italiane. Ad essere strapagati sono i calciatori.
«È evidente che non può esservi concorrenza su queste cifre. L’unico vantaggio, e di non poco conto, è l’immediata disponibilità del contante: una liquidità importante per chi deve operare sul mercato. Ma, al di là della probabile stabilizzazione, c’è qualcosa che potrebbe in tempi brevi modificare lo scenario».
A cosa si riferisce?
«Al nuovo regolamento della Fifa sulle percentuali previste per gli agenti dei calciatori. A partire da ottobre, non si potrà più versare il 10 per cento, come sta accadendo nei trasferimenti in Arabia Saudita, ma fermarsi alla quota del 3 per cento da parte del club e del 3 per cento da parte del giocatore. Questo regolamento potrebbe ridimensionare l’attuale clamorosa portata dei movimenti verso l’Arabia Saudita, in particolare per quanto riguarda gli accordi con svincolati. È un’esigenza che si era avvertita da tempo e cioè da quando sempre più forte era la tendenza a portare il calciatore di alto livello fino alla scadenza del contratto nel suo club per poi fargli sottoscrivere un nuovo e più ricco accordo altrove. L’introduzione di questo regolamento potrebbe essere una delle ragioni per cui i club arabi, quattro in particolare, stanno accelerando in questa fase: da ottobre sarebbe più complicata la situazione. C’è da chiedersi, però, quanti club rispetteranno il regolamento e quanti cercheranno un escamotage».
Di salary cap a livello nazionale e internazionale si parla da anni: non potrebbe essere una soluzione?
«È una questione complessa, dunque di difficile attuazione».
L’Arabia Saudita non è esattamente un cimitero per elefanti.
«Neanche la Cina lo era quando esplose il boom calcistico. Il raffronto tra i due Paesi non è in assoluto corretto, anzitutto perché l’Arabia Saudita ha vocazione calcistica: la nazionale ha partecipato ai Mondiali, gli stadi sono pieni, si vendono bene i diritti televisivi e c’è un ottimo movimento sui social. È un fenomeno destinato a reggere, al contrario della Cina, dove alcuni club fallirono quasi subito e tanti calciatori non riuscirono a percepire tutti gli stipendi. In Arabia Saudita, invece, da tempo sono attive queste polisportive. Gli investimenti sono diventati più massicci adesso per puntare a grandi eventi e anche per migliorare l’offerta turistica: sono infatti in costruzione a Gedda e Riyad centri commerciali e hotel di lusso per pareggiare altre offerte».
Chi arriva dall’Europa si abituerà al calcio dell’Arabia Saudita?
«I ritmi sono più blandi rispetto a quelli del nostro continente. Bisognerà sapere entrare nella mentalità di un sistema totalmente diverso».
A Cura di F. De Luca Fonte Il Mattino