Giovanni Branchini, una vita da procuratore e manager di calciatori, da Ronaldo il Fenomeno e Careca in giù, ai massimi livelli internazionali da sempre.
Come vede l’offensiva dell’Arabia Saudita sul calcio europeo? «È un fenomeno che abbiamo già vissuto in un modo simile con la Cina qualche anno fa. E fu un’esperienza non felice, che ha provocato problemi e contenziosi. Pochi ne hanno goduto, molti altri ne hanno pagato le conseguenze, con problemi di vario tipo come stipendi non pagati e cose simili: non era tutt’oro quel che luccicava. In Arabia credo che la situazione sia un po’ diversa, di sicuro hanno più soldi dei cinesi e non c’è la stessa corruzione, inoltre puntano forte sull’obiettivo del 2030, tra l’Expo e i Mondiali di calcio, hanno un progetto concreto».
Ma non potrebbe essere un’opportunità, per i nostri club? Incassano denaro e possono reinvestirlo per giocatori bravi ed emergenti. «Magari fosse così facile. Il problema enorme, drammatico, del calcio internazionale è che è difficile rafforzarsi perché non ci sono più giocatori forti da comprare. Nessuno si è reso conto che ormai i campioni veri sono pochissimi. Se prendiamo le classifiche del Pallone d’oro di 30 anni fa e le confrontiamo con quelle di oggi, il contrasto è stridente: altra categoria, proprio. Poi possiamo inventarci che Balotelli o Verratti siano dei campioni, ma non è così. E non è un problema solo italiano, coinvolge tutta Europa: altrimenti non avremmo piazzato tre squadre nelle finali delle ultime coppe… Siamo ormai disancorati dalla realtà. Si pagano tantissimo giocatori scarsi per uno spettacolo sempre peggiore, questa è la realtà. Il calcio sta cambiando in peggio. E il tutto nel totale disinteresse di chi dovrebbe gestirlo, promuoverlo e salvarlo, cioè le istituzioni internazionali».
Non controllano? «Da molti anni il calcio non ha una guida che migliori il prodotto. C’è una gestione mercantile. Le istituzioni che governano il calcio sono ormai organizzatrici di eventi sportivi di popolarità enorme, anche se poi è da vedere quanto lo siano nel tempo. Alcuni di questi eventi producono introiti enormi, come i 4 miliardi dell’ultimo Mondiale, ma vengono usati per organizzare altre manifestazioni inutili, e in perdita, che servono a garantirsi i voti per la rielezione. E sono tutte rielezioni modello Bielorussia, sempre con candidati unici. Era un po’ il metodo di Blatter, solo che da allora nulla è cambiato, anzi adesso il presidente Fifa va a vivere in Qatar… Nessuno si preoccupa dei problemi veri. Da qui il Far West attuale».
Quali i problemi principali? «In tutti i paesi c’è la regola che impedisce di comprare i mandati di rappresentanza dei giocatori, ma nessuno la fa applicare. Così centinaia di ragazzi vengono avvicinati da aziende di manager che offrono barche di soldi ai genitori per averne la procura, poi li mandano a giocare in giro, ma intanto si creano mostri: un ragazzino con la famiglia che improvvisamente annega nel denaro, e lui che a 18 anni guadagna già quanto ha guadagnato Bruno Conti in carriera, pensa di essere un campione, invece non lo diventerà mai. Pochissimi ci riescono ormai. L’Italia produceva tanti grandi giocatori, ora è ferma da decenni. La Spagna ne sfornava a decine, ora al massimo due o tre».
E non ci sono regole finanziarie che tengano, ormai. «Ma se le istituzioni del calcio non sono state in grado di mettere una legge che impedisca agli stati sovrani di essere proprietari di squadre di calcio, dove andiamo? È chiaro che uno stato sovrano ha risorse illimitate da investire sul calcio, e se ne infischia di salary cap o fair play finanziario. È un macrofenomeno che andrebbe gestito, invece niente. Anzi, il mondo del calcio implora di ridurre le partite, e invece le aumentano».
Ma quindi sta crollando tutto, secondo lei? «Il calcio ha ancora una lunga scia di popolarità nelle ultime generazioni, ha uno zoccolo duro, per carità. Ma stanno rovinando tutto. E attenzione, altri sport sono caduti in crisi profonda e non si sono più rialzati. Potrebbe accadere anche al calcio, se continua a essere gestito così».
Fonte: Il Mattino