Qui ci vuole un cervello, forse anche un esteta, un uomo che racchiuda in sé una filosofia limpidamente sviluppata in diciannove anni: un allenatore, certo, che però sfugga alla normalità, che porti a spasso, nella propria identità, le tracce di quella genialità che ha espresso Luciano Spalletti; o l’autorevolezza culturale che rapì di Carlo Ancelotti; o quella spavalderia e l’eleganza del palleggio di Maurizio Sarri; o lo spessore e l’appeal senza confini di Rafa Benitez. Qui servirà la poesia, mica la prosa, il concetto alto di un football che Aurelio De Laurentiis vorrà sempre «internazionale», possibilmente vincente, sicuramente bello, com’è stato il Napoli dell’ultimo biennio, come lo è stato spesso, verrebbe da dire, per natura identitaria.
SORPRESA. De Laurentiis ha una strategia: ascoltare se stesso. L’ha fatto sistematicamente, parlandosi dopo una serie di appuntamenti che in realtà erano casting, allestiti dal giorno in cui ha voluto decidere in prima persona lo scenografo di questi film, con un finale spesso sorprendente. Rafa Benitez, estate 2013, arrivò immediatamente, fu la soluzione che gli prospettò Riccardo Bigon, e però dovette comunque «scremare» eventuali altri candidati, parlò con Pellegrini, telefonò a Klopp che dal Dortmund non voleva ancora staccarsi. E nel 2015, con l’addio del señor della panchina, la trafila fu la stessa: Mihajlovic, poi Montella, poi Emery per puntare, al termine delle consultazioni, su Maurizio Sarri.
Aurelio De Laurentiis si fida di Aurelio De Laurentiis, interloquisce, vuole analizzare gli uomini con i quali poi confrontarsi: il giorno in cui capì, andando a casa di Sarri, che non ci sarebbe stato più con lui un domani, puntò su Ancelotti, il suo tormento (anche attuale), perché esonerare gli costò. Ma quando ha deciso che il capitolo-Gattuso era fatalmente chiuso, ha ricominciato: invito a cena (ripetuto) con Allegri, la telefonata quasi definitiva con Conceição, poi la virata su Spalletti. Ora, raccontano in giro, che avrebbe visto Nagelsmann, reduce dall’esonero con il Bayern Monaco, enfant-terrible della panchina, un salto nel grande calcio e però anche nel vuoto.
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Uno scudetto ha avuto bisogno di 33 anni di inseguimento, 19 dei quali di De Laurentiis, e adesso vuole certezze: quelle che fornisce l’esperienza di Antonio Conte è rassicurante e per quanto riguarda l’aspetto economico, se ne parlerà. Ma Conte è una figura prestigiosa, porta il proprio vissuto alla Juventus, all’Inter e al Chelsea e quanto alla difesa a tre è una delle conoscenze che ha.
A De Laurentiis sarebbe piaciuto De Zerbi, che preferisce starsene in Premier, ed è sempre piaciuto Gian Piero Gasperini, che aveva praticamente tesserato nel 2011: poi le situazioni cambiarono ma la considerazione è rimasta, anzi l’Atalanta l’ha rafforzata. Altrimenti, hai visto mai che non ricompaia Conceição sparito dalla sera alla sera nell’estate del 2011, legato a Jorge Mendes, con il quale i rapporti sono sempre stati cordiali, anzi di più. La panchina è un luogo sacro e Adl ci avrà pensato anche ieri ritirando alla Nunziatella di Napoli il titolo di Cavaliere di Gran Croce di Merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.