Bianchi su Spalletti: «Io sono rimasto e ho vinto ancora però ogni stagione è una storia a sé»

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« Premessa». Premessa: accolta immediatamente, perché quando un galantuomo te l’impone con il garbo d’un sorriso, non si entra in contrapposizione. «Io non do consigli e suggerimenti, mi verrebbe da dire chi sono io per farlo?». Quando Ottavio Bianchi risponde al telefono, dalla sua Bergamo Alta, s’afferra limpidamente la sua ammirazione per quel Napoli che gli è appartenuto, per un’impresa che s’accomoda nella Storia al fianco del 10 maggio dell’87, del 29 aprile del ’90. È un tempo che si intreccia, epoche che si accarezzano. «E però parliamo di mondi distanti, perché quello era un calcio e questo è totalmente diverso».

 

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Ma lei ha titolo per parlarne… 
«Solo per ripetere ciò che dico da un po’: il Napoli ha riempito questa stagione di sé, della sua bellezza, delle sue enormi capacità che sono frutto di una fusione straordinaria tra società, manager, allenatore e ambiente».

Manco il tempo di godersi una gioia che già viene spontaneo chiedersi: e ora? 
«A me pare che la città stia giustamente festeggiando e lo farà ancora. Non è stato un successo banale ma straordinario, con numeri da far impalli dire e un gioco autorevole e pure autoritario».

Leggende metropolitane applicate al calcio: vinci e scappa. Ma lei restò e rivinse ancora, ad esempio la Coppa Uefa, una Champions di quegli anni. 
«Ogni stagione è diversa da quella precedente e da quella successiva. A volte pure da quella in corso. Pensi un po’ alla soddisfazione del Real e del City quando hanno scoperto che il Napoli non sarebbe stata un’avversaria. Io sospetto che si siano sentite più leggere, perché giocare contro Spalletti non sarebbe stato semplice».

Analogie tra Bianchi e Spalletti se ne colgono e un po’ vi somigliate.
«Spero per lui di no».

Come Bianchi, lui vive da solo, però a Castel Volturno. 
«Io ero in hotel, ma solo perché non esisteva Castel Volturno, altrimenti forse sarei stato lì. Spesso a cena con il direttore dell’albergo. Una volta a settimana con quel fantastico personaggio che è stato il Petisso, dalla cui frequentazione sono stato arricchito. Gli allenatori sono in genere uomini soli».

E tormentati: Spalletti non riesce, per sua stessa ammissione, a gustare appieno il successo. 
«Lo capisco, ci sono passato anch’io. Dalle vittorie si fugge, non hanno bisogno di essere dominate ma gestite, non creano onde da cavalcare, si rischia di essere sommersi. Un tecnico ha ruolo e responsabilità particolari, che lui rappresenta alla perfezione. Ed è stato bravissimo in ogni situazione».

Si può dire che è l’uomo giusto per dar vita a un ciclo? 
«Ciò che il Napoli ha dimostrato spinge a sbilanciarsi con un sì netto. Però, torniamo al discorso precedente, come fa a prevedere cosa possa succedere? L’idillio nasce attraverso il sacrificio e la programmazione e si rompe in un attimo. Spalletti, De Laurentiis, Giuntoli e tutti i calciatori sono stati strepitosi ma le condizioni mutano e tu non te ne accorgi. Io non ho mai avuto certezze quando stavo in panchina, si figuri adesso. L’equilibrio è sottilissimo, all’allenatore vanno riconosciuti i suoi enormi meriti, che giustamente ha condiviso con ogni componente».

C’è un aspetto che di Spalletti l’ha colpito più di un altro? 
«Aver capito Napoli in fretta».

 

 

Fonte: CdS

 

 

 

 

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