L’intervista a Diego Simeone: “Dopo Maradona vince un altro argentino, Giovanni è già nella storia”
Luccicano gli occhi del Cholo Simeone in tribuna al Maradona. In tre giorni Napoli gli è entrata nel cuore: «Ero venuto sempre da avversario al San Paolo, ma mai avevo girato la città da turista e sono rimasto affascinato. Questa città respira Maradona in ogni angolo. E per me, che da ragazzo guardavo in tv le partite di Diego al San Paolo, è davvero emozionante».
È riuscito a raggiungere Largo Maradona?
«Sì, e nonostante mi fossi camuffato con cappello e mascherina la gente mi ha riconosciuto. Mi avevano parlato di una città caotica ma io l’ho trovata bellissima e accogliente. È vero che napoletani e argentini si somigliano tanto. Quando Giovanni mi disse che c’era la possibilità di venire qui, non ho avuto bisogno di convincerlo. E subito dopo che arrivò mi disse al telefono “Papà è bellissimo, io qui voglio vincere qualcosa di importante”. E c’è riuscito! Quando ci siamo abbracciati venerdì gli ho detto: ti rendi conto? Sei l’argentino che ha vinto a Napoli dopo Maradona. Resterai per sempre nel cuore di questa gente».
Voi Simeone solo scudetti “unici”: lei alla Lazio, Giovanni al Napoli?
«Vero. E ora viene il difficile. Perché se ti chiami Real Madrid, Psg o Bayern Monaco è normale confermarsi vincendo. Invece in piazze come il mio Atletico o anche Napoli diventa complicatissimo».
Un consiglio per Spalletti?
«Non ne ha bisogno. Quest’anno il Napoli ha giocato un calcio bellissimo. Li ho seguiti tantissimo e non solo perché c’è Giovanni. Ho apprezzato movimenti e modo di stare in campo. Spalletti l’ho proprio studiato».
Ha parlato con De Laurentiis?
«Ci siamo conosciuti allo stadio. Persona gentilissima e presidente con le idee chiare».
Al posto suo venderebbe Osimhen?
«Il nigeriano è fortissimo. Ce ne sono pochi in giro con le sue caratteristiche e credo possa valere oltre cento milioni. Non dico che bisogna venderlo ma ripeto ragionamenti che faccio per il mio Atletico. Se ti arriva un club potente economicamente e offre il doppio di ingaggio, tu per tenere un giocatore devi dissanguarti e far sballare i tuoi conti. Meglio cambiare. E poi chi meglio del Napoli? Ha lasciato andare giocatori importanti e guardate cosa hanno combinato giocatori come Kvaratskhelia e Kim».
Come definisce la sua stagione con l’Atletico Madrid?
«All’inizio molto complicata. Sofferta. È andata male nelle Coppe. Ma stiamo concludendo bene anche se il Barcellona ormai è imprendibile».
Dopo dodici anni all’Atletico dove trova gli stimoli a restare nello stesso posto?
«Ho un altro anno di contratto, vedremo che succederà. Gli stimoli li trovi perché in club così spesso cambi giocatori e devi sistemare il modo di stare in campo. E poi il calcio è cambiato».
In che senso?
«La nuova generazione è diversa e cambia anche il modo di allenarli e di farli stare in campo. Penso a Godin e a quella generazione di calciatori con cui abbiamo vinto un po’ di anni fa all’Atletico: oggi sarebbe superata, non solo per età ma per come si sta in campo. È tutto più veloce. E bisogna che anche come allenatore io mi aggiorni ed evolva nelle metodologie».
Proviamo un paragone strambo: più forte la sua Lazio tricolore del 2000 o il Napoli del Cholito oggi?
«Quella Lazio è la squadra più forte in cui abbia mai giocato, per individualità. Questo Napoli è ancora più solido come gruppo e meccanismi».
Almeyda, Sensini, Simeone, Veron, dopo lo scudetto pure Crespo e Lopez: quella Lazio era molto Argentina.
«Vero. Ma c’erano tantissimi altri giocatori fortissimi, ogni allenamento era una battaglia. Una volta ricordo che Mancini scattò ma io non gli passai la palla e si arrabbiò. Gli dissi: non saresti arrivato sul lancio. Lui rispose: “Dovevi fare un passaggio dietro la linea difensiva, non un lancio”. Aveva ragione. Quella frase mi rimase impressa e oggi lo insegno ai miei giocatori. Non eravamo grandi amici ma da quel gruppo sono venuti fuori buoni allenatori. Io e Veron non ci prendevamo, non ci parlavamo, ma in campo ci capivamo. Penso all’assist per il gol con cui abbiamo battuto la Juve a Torino. Una rete decisiva per lo scudetto».
Lei è un totem all’Atletico e una bandiera di Inter e Lazio: ha mai pensato di tornare in Italia ad allenare?
«Sì. Quando lo feci a Catania maturai molto il mio approccio con la squadra, le mie idee. Non so quanto ancora potrò allenare, ho 53 anni: altri 5? Di sicuro il nostro è un mestiere stressante. Ma poi penso che sono bastati pochi giorni di vacanza per farmi tornare la voglia di rientrare in campo. Il prato è come una droga per noi. Spesso mi capita di incontrare tifosi interisti e laziali che mi chiedono di tornare. Chi può saperlo? Di sicuro mi farebbe piacere».
Come vede la semifinale di Champions milanese: i favori si spostano sull’Inter dopo l’infortunio di Leao?
«A questi livelli non ci può essere una favorita. Contano anche i più piccoli dettagli. Anche se mi auguro passi l’Inter».
Giovanni dice che lei è un po’ invidioso del fatto che lui abbia vinto nella città di Maradona?
«E ha ragione. Ma non ho più l’età».
Capisco che è molto rigoroso con Giovanni, da padre, ma un complimento vogliamo farglielo da allenatore a centravanti?
«Lui è un giovane vecchio. È molto maturo per la sua età e si allena con scrupolosità. Non era semplice calarsi nel ruolo, dietro uno come Osimhen. Ma lui riesce sempre a dare il massimo in campo, con una concentrazione feroce». Chissà da chi ha preso.
Fonte: Gazzetta