L’intervista a Evelina Christillin: “Juventina con la passione azzurra”

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Spunta su via Santa Lucia e l’edicolante Vincenzo davanti al Palazzo della Regione le porge la bandiera del Napoli. Evelina Christillin ha un sentimento forte e noto per la Juve, eppure… «L’atmosfera di Napoli è magnificamente contagiosa», spiega dopo aver incrociato Stefano Ceci, per anni assistente personale di Maradona. «Ci vedevamo spesso nelle riunioni convocate dalla Fifa: qui tutto sa del Napoli e tutto sa di Diego». La manager, che dopo essere stata per otto anni presidente del teatro Stabile di Torino è consigliere del Mercadante a Napoli («Ne sono profondamente grata al sindaco Manfredi»), è consigliere in quota Uefa presso la Fifa, il calcio ai massimi livelli.

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A Napoli alla vigilia della possibile partita scudetto ma non allo stadio: perché? «Parto nel pomeriggio per Roma. Racconterò a “90° Minuto” sulla Rai il sabato e la domenica del villaggio. Emozioni pure».
Come si trova qui una juventina doc? «Magnificamente bene, come ho detto al sindaco Manfredi e al prefetto Palomba. E non soltanto perché ho grandi amici come Mario Martone, che avevo voluto allo Stabile. Non puoi non essere coinvolto da questa attesa. L’altro giorno un tassista, mentre mi accompagnava a Capodimonte, mi ha mostrato striscioni e bandiere sul Ponte della Sanità spiegandomi che in ogni quartiere sono state organizzate collette per gli striscioni, le bandiere, le gigantografie dei calciatori. E questo colpisce una piemontese poco incline agli entusiasmi. Si coglie una gioia naturale e partecipata. A Napoli c’è una sola squadra, la città è compatta nella sua passione: non tieni per questo o quello, con i relativi risvolti polemici. Questa identità fa sì che Napoli rappresenti il Napoli e viceversa. L’aspetto del coinvolgimento emotivo non riguarda solo me, una tifosa juventina che ha maggiore abitudine a vedere gli scudetti e che ha assistito a un altro genere di festeggiamenti dopo i campionati vinti. Ho ascoltato i discorsi di turisti americani e tedeschi, tutti affascinati da questa sana follia collettiva».
Eccessiva? «No. I napoletani hanno voglia di celebrare un momento importante ma rispettando le regole per la sicurezza di tutti. Nessuno si è lamentato dei divieti previsti nel piano di ordine pubblico e questo perché la festa deve essere condivisa dalla intera città. Trentatré anni sono tanti, è il primo scudetto per migliaia e migliaia di tifosi del Napoli: comprensibile e giustificato questo tipo di approccio».
La festa è cominciata sette giorni fa, dopo la vittoria del Napoli in casa della Juve: un segno del destino. «Ne ho viste tante di sfide a Torino, però quella che più ricordo risale a pochi anni fa, il 2019: la nostra vittoria per 4-3 con l’autorete di Koulibaly».
Perché? «Era il compleanno di mio nipote Ruggero e chiesi alla Juve di mandarlo in campo con la divisa bianconera. Accompagnò proprio Koulibaly e, quando capì che a fare l’autogol era stato lui, si mise a piangere. Un bellissimo gesto di solidarietà di un piccolo tifoso bianconero».
Ha visto anche i magnifici duelli tra Maradona e Platini. «Due eroi, con un impatto sull’ambiente profondamente diverso. Platini è stato ammirato e amato, però non rappresentò un pezzo della identità collettiva. Probabilmente mai ci saremmo permessi di entrare nel suo mondo: Platini era l’eroe ma sul campo. Maradona è ancora Napoli. Sono stata ai Quartieri per ammirare il Murale e mi sono venuti in mente i momenti condivisi dal 2017, quando alla guida della Fifa arrivò il presidente Infantino».
Diego non amava i potenti. «I rapporti erano tesissimi con chi prima era al vertice della Fifa, però Infantino volle coinvolgerlo e lo inserì tra le “Legends”. Ai Mondiali in Russia ci conoscemmo meglio. Mi colpì molto il lato umano di Maradona. Adorabile, caldo. Simbolo del riscatto per Napoli, una sorta di Masaniello. Diego è qui qualcosa di culturale, sociale, antropologico. Diverso il discorso alla Juve: per Platini non vi era nulla da dover riscattare».
Lo scudetto torna a Napoli e al Sud dopo lunghissima attesa. «Ne sono contenta, quella del Napoli è una bella storia in campo e fuori. Spalletti guida uno splendido collettivo e c’è una società che con il presidente De Laurentiis ha saputo tenere i conti a posto e con il direttore sportivo Giuntoli, dopo aver ceduto tanti giocatori, ha realizzato colpi importanti come quello di Kvaratskhelia. Bisogna coniugare gli aspetti tecnici e amministrativi per ottenere un grande risultato come quello del Napoli. Il mio cuore è e sarà per sempre bianconero, ovviamente anche in una stagione dove sono state prese autentiche bastonate».
Il discutibile mercato, il -15 che è stato momentaneamente annullato, i prossimi processi, le sparate di Allegri dopo le sconfitte con Napoli e Juve: che momento è? «Sono stata una sportiva professionista, certe cadute le ho vissute. E in questi casi serve una reazione orgogliosa in campo, quella che mi auguro possano avere i giocatori conquistando l’obiettivo della Europa League. Io ho grande rispetto del lavoro di Allegri e, quanto alle vicende societarie e giudiziarie, è bene non esprimere giudizi. Dopo la penalizzazione è stato difficile per i calciatori mantenere la barra dritta e avere i nervi saldi. Siamo messi così, sull’ottovolante… Ma non bisogna disamorarsi e non si deve mollare. Il punto è un altro».
Quale? «Noi juventini siamo stati abituati troppo bene. Ma quando le cose non vanno in un certo modo non ci si deve sentire dei falliti ma rimboccarsi le maniche. Per fortuna, a Napoli si gode il riflesso di questa magnifica gioia». C’è un’ultima domanda per l’edicolante Vincenzo: «Domani alle nove mi fa trovare una parrucca azzurra?».

 

Fonte: Il Mattino

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