Per 33 volte in questi 33 anni lo scudetto è parso un pianeta irraggiungibile. Da quella sera in cui una Espace carica di bagagli lascia via Scipione Capece e porta Diego all’aeroporto; quando nel 94 Marcello Lippi qualifica per l’UEFA una squadra a lungo senza stipendi. Quando ad andar via è Ciro Ferrara, poi tutti gli altri, Cannavaro, Zola, tutti. Il Napoli campicchia di prestiti. Poi c’è il Napoli di Vincenzo Guerini, quello di Zeman, l’ultim o canto del cigno ad opera di Gigi Simoni. “Lotteremo per la salvezza”, dice Bortolo Mutti. Nessuno gli crede, aveva ragione lui. È un naufragio con quattro allenatori. Galeone si arrende: “Avrei dovuto capire quando si è dimesso Mazzone”. L’anno di B con Ulivieri, il Napoli di De Canio. Colomba, Scoglio. Il fallimento, la discesa in C. Il progetto populista di Gaucci. In ritiro a Paestum, senza palloni, inizia l’era De Laurentiis. La sconfitta ai play-off con l’Avellino, il non ripescaggio in B per le esclusioni di Salernitana, Venezia e Perugia, preferendo Vicenza, Pescara e Catanzaro. Dov’era lo scudetto allora? Nasce il Napoli di chi si vanta d’averlo seguito a Gela. Lo sconforto aumenta quando vanno via gli idoli della nuova generazione di tifosi, Lavezzi e Cavani. Non vinceremo mai, borbotta la città quando lascia Benítez e pure Sarri, quando la Juve si prende Higuain e si fa pure male Milik, quando lo scudetto sfuma in albergo, quando c’è da vivere l’ammutinamento. Mai più, quando sfuma la Champions con Gattuso contro il Verona, quando il Napoli è rimontato a Empoli, quando l’estate scorsa nasce il movimento A16, perché sono andati via KK, Insigne, Mertens, sono stati presti solo questi Kim e Kvara. Mai più, pensavano tutti. Invece è ora.
Fonte: Il Mattino