Trent’anni. Quelli in cui Luciano Spalletti ha lavorato come allenatore sul campo. Il Napoli, il suo Napoli, è un insieme delle esperienze, dei sacrifici, delle innovazioni di un trentennio. Il suo calcio chic, nasce da lontano, come scrive il Corriere dello Sport:
“Da Empoli alla Samp, dal Venezia all’Udinese, dall’Ancona, alla Roma a San Pietroburgo e ancora a Roma, alla Milano interista: una trentina d’anni con quella valigia piena di idee, la difesa a tre mezzo, il centravanti ch’è lo spazio, la verticalità, le linee da occupare e quelle da creare e poi, zac, sempre, ossessivamente Totti e Icardi e Icardi e Totti e nessuno che per ricredersi abbia pensato anche un po’ a Insigne e Mertens o a Mertens e Insigne, in fin dei conti storie analoghe ed epiloghi opposti. E invece Spalletti è stato altro, un innovatore a spasso tra i tempi, pardon in anticipo, con quelle rivoluzioni a tracciare il mutamento, la sua stessa evoluzione, le radici di una cultura calcistica ampia, ricca, addobbata di iniziative che tracciassero altre rotte.” Napoli è un puzzle, un contenitore in cui viene fuori il suo calcio “mai banale, nel movimento degli esterni che riempiono il campo o creano le profondità, nella capacità d’interpretare gioiosamente quel copione da mandare a memoria, certo, però pure da infiocchettare di suo evitando di ingabbiare il talento o la spudoratezza“.