Trentatré anni. Come quelli della sua presidenza. O dell’intervallo dal secondo al terzo scudetto. «Ai miei tempi è stato più complicato vincere», dice Corrado Ferlaino, novantunenne di ferro, alla guida del Napoli dal 1969 al 2002.
Perché, ingegnere? «Perché gli equilibri economici erano completamente differenti e dunque per vincere è stato necessario attendere l’arrivo di Maradona, inserito in un contesto societario forte e in una squadra che venne migliorata nel tempo. C’era una sproporzione più forte ma soprattutto quest’anno il Napoli ha potuto sfruttare il vantaggio delle proprietà straniere e altri fattori».
Ci spieghi? «Società come Inter, Milan e Roma hanno i loro azionisti in altri Paesi e la gestione è affidata a manager che hanno un ruolo da impiegati, ben retribuiti ma pur sempre impiegati. Quanto potere hanno? Questa situazione probabilmente si riflette sulle prestazioni delle squadre. Il Napoli, eccezionale, ha potuto approfittare del rendimento appunto alterno di Inter e Milan. Sulla Juve, poi, ha inciso la penalizzazione di 15 punti, per ora restituiti».
La sua esultanza domenica sera si è vista anche in diretta televisiva sulla Rai. «Sì, un’autentica esplosione di felicità. Il gol di Raspadori in pieno recupero ha dato un’enorme soddisfazione a chi ha combattuto contro il potere della Juve per oltre trent’anni… Ho lasciato il Napoli da tempo ma sono rimasto legatissimo a questa bandiera. È stato splendido questo anticipo dei festeggiamenti per lo scudetto: dalla casa della mia compagna ho visto l’esplosione dei fuochi artificiali in più punti della città, un Capodanno ad aprile, cose che solo Napoli può offrire».
Andrà allo stadio per la festa scudetto? «Non potrò, sarò lontano il 4 giugno: a Buenos Aires».
La città dove è sepolto Maradona. «Vado a salutare un amico che non c’è più. Voglio sentirlo vicino in questi giorni felici per il Napoli e Napoli, la squadra e la città che Diego ha amato profondamente. Nei miei ricordi emerge con chiarezza che è nato a Napoli, non in Argentina. Ho parlato con Claudia, la ex moglie di Maradona: mi accompagnerà al Jardin Bella Vista, il cimitero dove riposa. Glielo devo. Ed è bello che lo scudetto sia vinto nello stadio intitolato al nostro campione: un segno del destino».
I destini, appunto, si intrecciano. Il 22 aprile del 90 il Napoli vince a Bologna e mette le mani sul secondo scudetto. Il 23 aprile del 2023 il colpo a Torino fa esplodere la città: il terzo è a un passo. «Situazioni differenti. Quella domenica il Napoli segnò tre gol in un quarto d’ora. La partita non era con il Bologna, in realtà, ma a distanza con il Milan che perse a Verona e si allontanò dallo scudetto. Quante ce ne dissero, quante cattiverie».
Ne diceva anche lei? «Qualche battuta, ad esempio sull’arbitro Lanese che avevo soprannominato Milanese. Lascio immaginare perché».
Qual è il calciatore preferito del tifoso Ferlaino? «Non c’è. Quando diventai presidente del Napoli, vi erano gruppi di dirigenti che parteggiavano per questo o quel giocatore. Mi fu subito chiaro che non doveva essere questo l’approccio corretto e così è stato anche quando a Napoli è arrivato il più grande di tutti. Esiste una squadra e va rispettata in tutti i suoi bravissimi componenti. Peraltro, la squadra che ci sta regalando il terzo scudetto è stata una macchina perfetta. Eppure, ricordate quali erano le premesse estive?».
Gli striscioni contro De Laurentiis, il gelo intorno a Spalletti e ai giocatori durante i ritiri estivi. La sua idea, in quella strana estate, qual era? «La mia era una posizione di attesa. L’esperienza mi ha insegnato che bisogna aspettare per poter valutare. Il giudizio non può che essere positivo, per il gioco oltre che per i risultati di Spalletti».
Lo riconfermerebbe? «Mi sembra che sia tutto a posto, non dovrebbe esservi alcun dubbio sulla sua permanenza a Napoli. Ma non spetta a me decidere. Spalletti è stato straordinario anche nel confronto con Allegri, che lo aveva provocato a gennaio prima della partita persa a Napoli ed era poi fuggito negli spogliatoi».
Un messaggio per De Laurentiis? «Ha lavorato molto bene. È giusto attendere la fine del campionato per fargli i complimenti».
La nota scaramanzia che l’ha accompagnata durante la sua presidenza. «Andavo via alla fine del primo tempo. Ma qualche volta tornavo, come quella domenica del 90 a Bologna, perché volevo condividere la felicità della squadra per lo scudetto che era ormai vicinissimo. Lo festeggiammo sette giorni dopo al San Paolo».
Il Mattino