Il calendario permette di gestire le forze e le energie per la coppa ma il Napoli ora non può mollare
In un biennio di capolavori, dal terzo posto ch’è valso la (ri)qualificazione in Champions e a questa cavalcata che sta producendo la Storia, Luciano Spalletti ci ha spruzzato la propria genialità, quella visione futurista delle proprie interpretazioni, gli svolazzi pure naif che lo rendono diverso, contemporaneo e pure elegantemente antico. Quando rientrò a Napoli trovò le macerie e dovette avventurarsi nel calcio post-Covid con le sue cinque sostituzioni. La prima scossa, a se stesso e ai codici, è stato il turnover «live», le rotazioni a partita in corso (Elmas per Zielinski o per Kvara; Ndombele in mezzo al campo; un pizzico di Simeone per Osimhen; Lozano e Politano che spaccano fascia e orologio); raramente ha modificato il sistema, quando ha dovuto ha adagiato Raspadori dove serviva. Ma c’è un asse solido, si direbbe intoccabile (Meret, Di Lorenzo, Kim, Lobotka, Anguissa) che viaggia sopra o intorno ai 3000′; ci sono uomini, gran parte, che da gennaio non ne hanno saltata una (Rrahmani); e stelle (Zielinski) che le hanno fatte tutte, pur con minutaggio diverso. Diciotto punti possono sembrare una gigantesca forma di scudetto in qualsiasi vicolo della tifoseria ma sul bordo della panchina, mentre si tormenta il cervello, Spalletti rifugge dai calcoli, evita di accomodarsi nella gloria e insegue gli anestetizzanti per eventuali pericoli: però tra un po’ la Champions irromperà nelle sue notti insonni, rovisterà tra i suoi appunti e lo potrebbe distogliere, ma anche no, dalle attuali certezze. C’è Spalletti in questo Napoli, il suo calcio, i rari ballottaggi, soprattutto la capacità di annusare l’aria, immaginando comunque che non ci sia un domani. Fonte: CdS