Cosa l’ha divertita di più nel Napoli che ha battuto l’Atalanta? «La sua consapevolezza. Sa di essere forte, sa che è solo una questione di dover aspettare il momento. Gasperini è venuto qui perché non voleva perdere, ma al primo errore ha preso… due gol».
Ha ammirato il Napoli dominare l’Atalanta, Fabio Cannavaro. Pallone d’Oro, il capitano dell’Italia campione del mondo nel 2006, ha una vecchia sciarpa azzurra: «È quella del 1990, quando facevo parte di un gruppo di tifosi…».
Cannavaro, da unico difensore a vincere il Pallone d’oro: Kim è davvero uno dei più forti al mondo come dice Spalletti? «Sta migliorando davvero in maniera impressionante. Qualche anno fa Andrea Carnevale voleva portarlo all’Udinese, mi chiamò e mi chiese notizie. Io gli dissi che era forte, giocava nel campionato cinese dove io allenavo ma peccava di eccesso di sicurezza. Con Luciano ha imparato a essere concentrato: non ha mai distrazioni, non va mai via di testa, è sempre lì e sa sempre quale è la cosa giusta da fare».
Tra lui e Koulibaly chi nella sua squadra ideale? «Perché devo scegliere, li prendo tutti e due e li metto insieme».
Uno come Kvara come lo definisce? «È un fenomeno, se gli fai prendere la palla ti sfonda. Ha poi la consapevolezza di essere forte, lo capisci da come si muove: resta a lungo per conto suo, poi prende palla frontale e ti punta. E come lo fermi? In questo calcio di oggi è avvantaggiato perché i difensori non possono fare molto: non gli puoi prendere i pantaloncini, non puoi toccarlo, se gli sfiori la maglia sei ammonito, se gli dai una legnata ti cacciano fuori. Vedi come trattavano Maradona: lui era prodigioso perché i gol li faceva saltando quelli che entravano come dei killer sapendo che tanto la facevano franca».
Ma un difensore dell’Atalanta, oggi, a rivedere il gol di Kvara cosa pensa? «Pensa che l’errore lo fa prima, perché in quella maniera il georgiano non può e non deve partire. Se gli consenti di farlo, non hai molte armi per fermarlo».
A quale stella azzurra non rinuncerebbe mai? «Vedo l’importanza di Osimhen, di Kvara e di Lobotka, ma per me il migliore di tutti, l’irrinunciabile, è Di Lorenzo. Sono stato con Spalletti dopo la gara con l’Atalanta e glielo ho detto: è uno che a ogni partita gioca da almeno 6,5. Sempre. Una garanzia. Per me è come Zanetti, è ai suoi livelli. Ha una continuità spaventosa, sa giocare col pallone tra i piedi, nell’uno contro uno è fortissimo e poi è disponibile e umile col compagno: se lo vede in affanno, è lì che corre in suo soccorso. Facendo sempre la cosa migliore».
Ha visto Spalletti: è felice? «Sa che è vicino a un traguardo storico. Vede la gioia dei tifosi napoletani e la cosa lo rende assai orgoglioso. Nei prossimi giorni potrei anche andare a Castel Volturno».
A 64 anni, si può essere ancora innovativi come lo è Spalletti? «Non è questione di età, ma di voglia e di dna. Sono anni che lui è innovativo, che ogni sua squadra ha un marchio preciso. Che la vedi giocare e dici: ecco, quella è la squadra di Spalletti. Lui ha un concetto di squadra positivo, studia, si aggiorna. Si è reso conto che non ha solo Lobotka regista, a volte i registi sono i due centrali, poi altre volte lo sono i terzini. Insegna a giocare corto, altre volte lungo. Pochi dubbi: ora è il migliore in Italia».
Ma lei una squadra così dominatrice come il Napoli se la ricorda? «In Italia un campionato così non c’è mai stato. Il Napoli è fortissimo e ci sono pochi dubbi che abbia ammazzato tutti anche psicologicamente. Perché questo resta pur sempre l’anno del Mondiale e forse anche questo ha influito nel crollo delle altre».
Ma questo Napoli sarebbe competitivo anche in Premier a suo avviso? «Si divertirebbe ovunque, anche a giocare ogni settimane contro avversarie che hanno nel ritmo alto la propria normalità»
Che partita sarà con l’Eintracht? «Non è una formalità ma certi valori, certe distanze viste all’andata, non sono colmabili. Certo, l’allenatore fa bene a tenere le antenne dritte, ma io credo nel lavoro e questo Napoli può arrampicarsi fin su alle semifinali se avrà un bel sorteggio ai quarti. Poi, chiaro, alla fine vincono sempre le stesse: perché è vero che Real Madrid, Manchester City, Bayern Monaco, Liverpool, sono in affanno nei propri campionati, ma quando sentono la musichetta della Champions è come se si accendessero».
Domanda delle domande: troppo forti gli azzurri o dietro fanno a gara a chi fa peggio? «Sì, dietro è un disastro. 18 punti di distanza sono un imbarazzo incredibile per le inseguitrice. Ma ciò non toglie nulla allo strapotere degli azzurri».
Chi l’ha delusa di più? «Il Milan. I quarti di Champions sono un bel traguardo, ma in campionato hanno reso molto al di sotto di quello che potevano».
Il Napoli può aprire un ciclo? «Ha l’età per aprire un ciclo, ha anche la rosa per aprire un ciclo: però ora viene il difficile. Prima eri simpatico, ti ammiravano e ti applaudivano. Adesso ti temono, voglio batterti per dare senso alla propria stagione. E diventa tutto più impegnativo perché chi vince diventa antipatico: devi triplicare le forze. E rischi di scivolare, come con la Lazio».
Il rimedio? «Devi auto-alimentarti con le informazioni, perché devi fare i conti col fatto che iniziano a trattarti male negli stadi avversari, devi abituarti a soffrire il triplo. E a dare il triplo».
Quali i meriti di De Laurentiis? «Sono 18 anni che tiene il Napoli sempre lì. Sarà pure criticato per il suo modo di fare, forse è vero poteva vincere anche prima: ma questa estate ha fatto scelte importanti. Le rose erano corte nel passato e questo ha avuto un peso, ma quest’anno no. Simeone, Raspadori, Elmas, Politano o Lozano: ma chi può permetterseli?».
Giusto il fronte comune contro la Superlega che ipotizzavano Real Madrid, Juve e Barcellona? «La forma e la formula sono sbagliate, ma se oggi vuoi produrre introiti devi giocare con il Barcellona, l’Arsenal e così via. Tante gare dell’attuale serie A non hanno fascino particolare. Né all’estero e neppure da noi».
Ex difensore, ma non allenatore difensivista: si è stufato di chi pensa che il calcio all’italiana sia ancora catenaccio e contropiede? «Luoghi comuni vecchi di anni, siamo etichettati così poi andiamo a fargli lezione ovunque, come il Napoli ha fatto con l’Ajax, il Liverpool e l’Eintracht. Ma le nostre squadre sono sempre organizzare e siamo noi a insegnare a loro come si fa il calcio».
Il ct Mancini dice che di numeri 9 italiani non c’è quasi traccia in serie A. Perché? «L’esperienza in serie B a Benevento è stata molto educativa. In Italia pagano per il minutaggio degli under e anche in Lega Pro molte squadre si mantengono economicamente con il minutaggio dei giovani “pincopallini” presi a caso in giro. E allora scopri che in tanti prendono in prestito anche stranieri, li fanno giocare e incassano. Non hanno investito nulla ma sono tutti contenti. Io il minutaggio lo pagherei, ma a patto che il giovane arrivi dal mio settore giovanile. Così si costruisce qualcosa».
Costa di meno e si rischia anche di meno. «Vero. Stesso discorso per gli allenatore stranieri. Ovvio, arriva Mourinho e non dici nulla. Ma è chiaro che in tanti vengono presi solo perché si ottengono agevolazioni fiscali».
Come si aggiustano le cose? «Partendo dalle scuole. A Napoli il nostro insegnante di educazione fisica, il professor Scarpitti, faceva educazione sportiva. L’idea di partenza potrebbe essere buona».
Cosa deve temere il Napoli dalla gara con l’Eintracht? «Isolarsi da queste chiacchiera sui tifosi tedeschi che arrivano o non arrivano. Alla squadra non deve importare nulla. Obiettivo è il passaggio del turno, senza pensare che sia una passeggiata. Spero sempre che ogni gara sia una festa per il pubblico e non un bollettino con feriti e arrestati».
C’è Italia-Inghilterra al Maradona: come si ricomincia? «Con una vittoria. Sarò sugli spalti, voglio esserci. Sarà bello vedere il Maradona pieno. Sarà la prima gara senza Luca Vialli che manca a tutti e mancherà a quei ragazzi che con lui condottiero hanno vinto l’Europeo».
Con il sennò di poi direbbe ancora di sì al Benevento? «Sì, perché alleno da 10 anni ma l’altro giorno parlando con Marco Borriello gli ho spiegato che 4 mesi in Italia equivalgono a 4 anni all’estero. La situazione non era facile, lo sapevo. Il rammarico è che a ottobre sapevamo cosa ci mancava ma a gennaio non è successo nulla. Ancora oggi la squadra fatica a fare gol. Ma io resto il loro tifoso numero uno, spero tanto che riescano a salvarsi».
Il Mattino