L’intervista – Mancini: “Tornare qui e con l’Italia mi rende felice. Il Napoli mi diverte”
Cuore, testa, gruppo. L’Italia di Roberto Mancini riparte dal Maradona. Nove anni e mezzo dopo l’ultima volta con l’Armenia, la Nazionale riabbraccia Napoli, il 23 marzo. E lo fa in un momento particolare: è la prima gara dopo il mondiale del Qatar ed è la prima volta dopo la scomparsa di Gianluca Vialli. Mancini vuole iniziare con il piede giusto l’avventura a Euro2024. Siamo i campioni in carica e la prima sfida è proprio agli inglesi sconfitti a Wembley nella finale di due anni fa. Al momento sono quasi venticinquemila i biglietti venduti: si va verso il tutto esaurito.
Mancini, giochiamo sui suoi ricordi quasi di infanzia. 4 aprile 1982, le dice qualcosa questa data?
«L’emozione dello stadio gigantesco, 16 anni e mezzo e sono titolare nel Bologna che affronta il Napoli. A quei tempi, gli spalti erano sempre pienissimi a Fuorigrotta, sapevi di dover fare i conti con quella passione senza fine da parte dei napoletani ed era una cosa che pesava. E mi sa, che quella volta perdemmo…».
Esatto. 2-0. E il suo primo gol al San Paolo?
«Con un po’ di fatica ma mi viene in mente quel tiro dal limite che consentì alla mia Sampdoria di pareggiare 1-1. Quel Napoli, era il 1984, si salvò a fatica. Poi dopo pochi mesi arrivò Diego Maradona».
Ha avuto mai l’occasione di giocare con lui?
«Una volta Mantovani, forse scherzando, mi disse che Ferlaino lo aveva chiamato per chiedere di me e di portarmi a Napoli. E che lui rispose: “Certo te lo do, ma a patto che facciamo uno scambio con Diego”».
Ancora un altro amarcord: Italia-Svezia 2-1, 14 novembre del 1987.
«Quello era il match decisivo per andare in Germania Ovest, all’Europeo. E ovviamente il dodicesimo uomo in campo fu proprio il pubblico di Napoli. Giocare al San Paolo era sempre strepitoso, ti sembrava di respirare ogni volta il clima di una finale di Coppa dei Campioni. Ed era lo stesso anche con la Nazionale. Io ero in panchina, e la gara la decise il mio amico Vialli con una doppietta».
Già, sarà quella di Napoli la prima volta dell’Italia senza di lui.
«Saranno giorni difficili, il vuoto grande che sento ogni giorno lo sentiremo ancora più forte. Tanti anni insieme, tanti ricordi meravigliosi, tanti giorni allegri. Tutto quello che ci ha lasciato deve esserci utile per il nostro presente e il nostro futuro».
L’ultima maglia del Napoli Maradona l’ha regalata a lei. Cosa ha rappresentato Diego?
«Giocò con noi a Genova prima di lasciare l’Italia, per tutti noi è stato tra i più grandi campioni del mondo. È stato un dono del dio del calcio vederlo ogni domenica giocare in Italia per così tanti anni, nel nostro campionato. Lui era perfetto per Napoli e il Napoli era perfetto per lui».
Che differenza vede tra il 20enne Mancini e i ventenni di adesso?
«C’era più passione tra quelli delle mia generazione. Oggi è diverso: il mondo è cambiato, mica solo i calciatori. In quei tempi il calcio era più bello: non a caso c’erano le bandiere, si restava per anni nella stessa squadra, non c’erano gli stadi vuoti. Oggi le partite sono tante, tutto si è un po’ raffreddato».
Italia-Argentina del 1990. Tolga a tutti un dubbio: Napoli per chi tifò?
«Per l’Italia. Poi, chiaro, non era semplice per un napoletano visto che dall’altra parte c’era Maradona. Lui era un altro napoletano, mica era solo un argentino. E quindi per molti è stata una battaglia di sentimenti, Diego fece delle dichiarazioni intelligenti prima di quella semifinale, fece quello che doveva fare un leader. Ma allo stadio tifavano tutti per l’Italia».
Si va verso il tutto esaurito con l’Inghilterra.
«Tornare a Napoli e con l’Italia mi rende felice. E poi in questo momento magico anche per il Napoli. Sappiamo che abbiamo scelto il posto giusto dove iniziare con il piede giusto».
Napoli cosa è per lei?
«Mia mamma è di Roccadaspide, vicino Salerno, la sento un po’ la mia terra quella regione. Venire a respirare l’atmosfera di Napoli è sempre un piacere, non solo per i miei tanti amici. È stato sempre speciale, anche quando ci venivo da avversario. Figurarsi ora che sono il tecnico della Nazionale».
Uno dei punti fermi della sua Italia è ora Di Lorenzo.
«È cresciuto tanto, ma anche all’Empoli dava segnali importanti. Ora ha raggiunto un livello psico-fisico altissimo».
Il supergol con la Sampdoria nel 1990 al San Paolo è uno dei più della sua carriera?
«Sicuramente tra quelli speciali. Anche perché il Napoli quella partita la dominò per tutto il primo tempo e noi in tre minuti segnammo due gol. Gli azzurri erano campioni d’Italia in carica, erano fortissimi, ma quello era un anno magico per noi. E alla fine in contropiede arrivò anche quella mia rete».
Mancini, lei ha vinto nel 2000 lo scudetto alla Lazio. Prima ancora lo ha vinto alla Sampdoria. Sembra quasi una rarità che una squadra diversa da Milan, Inter o Juventus possa vincere lo scudetto. Perché?
«La storia dice questo. È sempre tutto in salita vincere al Sud e lontano da Milano e Torino. Però sarebbe ancora più bello, per il nostro calcio, che questo avvenisse più spesso. E che non sia solo un’eccezione. D’altronde, come era ai tempi in cui giocavo io, quando il campionato davvero lo poteva vincere chiunque».
Che Inghilterra troviamo?
«È una delle nazionali più forti in circolazione. Al Mondiale è stata eliminata dalla Francia e forse pure in maniera immeritata. Da anni è una squadra complicata, bisogna iniziare bene per questo abbiamo bisogno di essere trascinati dal pubblico del Maradona, vogliamo uno stadio pieno di amore per l’Italia. Come in quell’Italia-Svezia dell’87 e come ogni domenica in cui gioca il Napoli».
Le cattive notizie: in attacco c’è qualche problema.
«Qualche?! I problemi là davanti sono seri. Immobile è ko, Raspadori in forse. Abbiamo dei grossi interrogativi. Quasi tutti gli attaccanti centrali hanno giocato pochissimi minuti negli ultimi mesi. Non ne abbiamo uno che ha giocato titolare, forse solo Gnonto ha giocato un po’ di più nel Leeds e può fare la punta centrale. Ma per il resto, siamo messi male: Scamacca è reduce da un infortunio, Ciro si è fatto male, Belotti gioca poco».
Per questo è andato a prendere Compagno in Romania?
«Lo seguo da due anni, peraltro gioca sempre e fa pure gol. Lo abbiamo pre-convocato e poi vediamo la situazione».
La speranza è il recupero di Raspadori?
«Sì, gli ho parlato in queste ore, mi ha detto che sta lavorando per tornare presto in campo: spero davvero che riesca a fare in tempo».
Vero che le ricorda Aguero?
«Raspa è straordinario come disponibilità e serietà. Davvero per certi versi ha doti uniche. Lo seguo dai tempi del Sassuolo».
Dimenticato il Qatar?
«Sì, basta pensarci. È stata una delusione. Ma dobbiamo mettere tutto alle spalle. Le delusioni e le cose belle come il trionfo all’Europeo. Concentriamoci su queste gare di qualificazione e poi pensiamo a vincere la Nations League a giugno».
Cosa sta dando il Napoli di Spalletti al nostro calcio?
«Gioca molto bene. È primo e con ampio merito. E, fate gli scongiuri, io già in estate avevo previsto il trionfo degli azzurri. Dietro non mi pare che ci sia chi possa insidiare il primo posto, il vantaggio mi pare assai rassicurante ma capisco anche Spalletti che invita alla prudenza. Farei lo stesso anche io al suo posto. Hanno fatto le mosse azzeccate in estate, gli innesti sono stati quelli giusti come quello di Kim e Kvaratskhelia e ora sono protagonisti grazie anche a un calcio apprezzato ovunque in Europa».
Le servirebbe proprio Osimhen in questo momento?
«Già, ma parenti italiani non mi pare che li abbia. O ce li ha? (ride, ndr)».
Invidia quei ct che potevano, una volta, fare affidamento sui blocchi di una squadra?
«Avevano la vita più semplice. Però è anche vero che capitano periodi così. La vera preoccupazione è in attacco, è lì che manca qualcosa: perché in difesa, a centrocampo, soluzioni le troviamo sempre».
Meret, grande protagonista con il Napoli, insidia a Donnarumma il posto da titolare?
«Gigio è il nostro numero uno, la gerarchia è questa. Ma Meret lo abbiamo sempre chiamato e apprezzato anche quando non giocava con questa continuità nel Napoli. Perché l’ho sempre considerato come uno dei big italiani in quel ruolo. Ma Donnarumma è il titolare».
C’è la possibilità per questo Napoli di arrivare in alto anche in Champions?
«Perché no? Chiaro, è faticoso restare a questi livelli su due fronti per tutta la stagione, ma per il tipo di calcio che sta mostrando in questo periodo, io non credo che il Napoli possa porsi dei limiti. Davvero, tutto può succedere anche in Champions perché è davvero una squadra forte».
Quali squadre la divertono di più da guardare in tv?
«Napoli e Atalanta e in Europa il City, il Real Madrid e nonostante i problemi anche il Psg».
Zaniolo è stato il primo, poi Tonali e ora Pafundi: ma dalle giovanili abbiamo speranze per il futuro?
«Le qualità di Pafundi sono enormi, ma bisogna accorciare i tempi… Ce ne sono tanti bravi ma non giocano. Ed è questo il problema».
Cosa la colpisce di più di questo Napoli?
«La serenità con cui va in campo, contro ogni avversario. La tranquillità che si continua a vedere anche quando ci sono i cambi, sembra che non succeda nulla e che non ci sia mutazione tra chi entra e chi esce. L’identità della squadra resta intatta. Giocano proprio un bel calcio».
È una vittoria, quella del Napoli, anche di un certo modello gestionale, non trova?
«De Laurentiis ha fatto un grande lavoro in questi due decenni in cui guida il club. Lo ha preso in serie C e lo ha portato quasi a vincere lo scudetto. Ogni anno migliora la squadra nonostante venda, inevitabilmente, anche i suoi calciatori migliori».
Glasner, il tecnico dell’Eintracht, pensando di fare un complimento, ha detto che il Napoli non gioca all’italiana. Cosa possiamo fare per togliere definitivamente questa etichetta?
«Questa roba è vecchia di 100 anni. Sono frasi fatte: sempre a dire queste cose, catenaccio e contropiede. Ma non siamo così da tempo. Sono tre anni che con l’Italia giochiamo bene, abbiamo vinto l’Europeo con personalità e abbiamo un dna di gioco ben preciso. E il Napoli dà spettacolo».
Perché in Nazionale uno come Lorenzo Pellegrini stenta a fare il salto di qualità?
«Ma con noi ha sempre fatto bene, sia quando l’abbiamo schierato esterno d’attacco che come interno. Poi nel corso della stagione patisce degli infortuni che condizionano il suo rendimento».
Zaniolo ha fatto la scelta giusta?
«Gli ho detto anche io, quando ha chiesto il mio parere, di andare al Galatasaray, spero che giochi perché per noi è importante. Andare in Turchia era l’unica possibilità che ormai aveva, visto che non aveva alternativa e che il mercato gli consentiva solo quella strada».
Kean resta uno degli osservati speciali?
«Gioca in un ruolo dove siamo carenti. È giovane, la speranza è che migliori. E che migliori giocando».
C’è già nella sua mente l’erede di Bonucci?
«Intanto viene con noi. Ed è pure riposato. Prima di pensare al suo successore c’è ancora un po’ di tempo. Anche Mazzocchi sta tornando e se sta bene può farci comodo».
Insigne e Bernardeschi in Mls hanno speranza di poter tornare a essere convocati?
«Perché no? Lorenzo ancora è uno di quelli che può tornarci utile… Vedremo».
Quale è il reparto, per l’età, che ha meno ricambi in prospettiva Euro e Mondiale?
«In difesa e a centrocampo le soluzioni ci sono. E lì in attacco che abbiamo problemi ma non perché non ci siano talenti. In giro ce ne stanno, anche nei settori giovanili, ma devono giocare. E non giocano».
Ma l’invito qual è? Andate a giocare anche in un campionato estero minore?
«No, questi giovani hanno qualità per giocare anche nella nostra serie A. Devono trovare chi gli dia fiducia. Poi sono sicuro che sapranno ripagare l’occasione che gli verrà concessa».
Che Italia promette ai tifosi napoletani?
«Noi vogliamo essere trascinati alla vittoria dal pubblico di Napoli: vogliamo giocare bene e iniziare con il piede giusto questa avventura da campioni d’Europa in carica. Il girone non è facile, per questo bisogna sfruttare le gare di qualificazione in casa. Non possiamo consentirci di complicarci la vita…».
Calcio di rigore: chi manda a tirarlo, Jorginho?
«Vediamo… certo è che dopo quelli sbagliati con l’Italia non ne ha più fallito uno».
Perché vogliono tutti andare in Premier?
«Perché è bello, interessante, duro. Tutte le squadre sono forti. Ma la mia speranza è che l’Italia diventi come la Premier, come lo era tanti anni fa. E il primo passo sono gli stadi. In questo modo sarà anche più facile pensare di riempirli».
L’Europeo del 2032 può essere un’occasione d’oro, in questo senso?
«Ma spero che ci mettano meno tempo per rifare gli stadi».
Ha detto: «Sui giovani facciamo come l’Italvolley».
«Anche noi lo stiamo facendo, certo non si può fare inserendoli tutti insieme. Ma il futuro del nostro calcio è pieno di fiducia».
A cura di Pino Taormina (Fonte: Il Mattino)