Tra pochissimo riparte la Champions, il Napoli è di scena a Francoforte contro l’Eintracht. L’attaccante azzurro, Giovanni Simeone ha rilasciato un’intervista ai canali della Uefa. Ha parlato della sua stagione, della competizione, degli insegnamenti di suo padre:
«Possiamo contare su tutta la rosa, non solo sugli 11 che vanno in campo. Ci sono molti giocatori in panchina che possono entrare e fare la differenza, e questo ci rende una squadra molto più completa. Il fatto che abbiamo tutti lo stesso livello di motivazione la dice lunga sul gruppo, sull’allenatore e sui giocatori. Siamo tutti motivatissimi e questo è fondamentale per raggiungere risultati importanti. Siamo un gruppo che si concentra semplicemente sul dare il massimo».
«Non vedevo l’ora di giocare la Champions League, quindi ho voluto fissare il mio obiettivo sulla mia pelle come una specie di promessa. È stata una decisione improvvisa. Quando ci ho pensato mi sono detto: ‘Voglio farmi questo tatuaggio perché il giorno in cui arriverò lì, lo bacerò quando segnerò un gol’. L’ho detto a mia madre e lei mi ha dato il permesso, ma mio padre non voleva che lo facessi. Diceva che ero pazzo. Non credeva molto nei tatuaggi. Quando mi allenavo, guardavo il mio tatuaggio e mi dicevo: ‘Allenati… dai il massimo… il tuo obiettivo è arrivare lì’, e mi motivavo ancora di più. Era tutta una questione di motivazione e di avere un obiettivo, seguendo un sogno che non sapevo nemmeno se avrei mai potuto realizzare. Ho sempre saputo che dovevo lavorare duramente per realizzare quel sogno».
Simeone racconta cosa ha imparato da suo padre: «Da lui ho imparato ad avere ambizione. È una cosa che ha mio padre: il desiderio di raggiungere sempre un obiettivo. Non ho scelto di giocare a calcio per via di mio padre, ma perché ho sempre giocato fin da bambino e ho sempre inseguito il mio obiettivo. Un sogno che all’epoca mi sembrava difficile ma che sapevo di poter raggiungere – ed è stato mio padre a dimostrarmelo con il suo duro lavoro. Molti dicono che ho la sua stessa personalità, sia in campo che fuori. Fuori dal campo una persona calma, equilibrata, attaccata alla famiglia e in campo una persona che dà il massimo, che ha grinta e coraggio. Mi rivedo molto in lui. Il suo miglior consiglio è che fino all’ultimo giorno da calciatore si impara sempre qualcosa di nuovo. Me lo disse quando arrivai al Genoa. Non mi dava mai consigli specifici ma mi incoraggiava sempre. L’unico consiglio, come detto, è stato quello che fino all’ultimo giorno di allenamento come calciatore, si continua a imparare».