Ci può essere un “effetto Santoriello” sull’ultima tappa della giustizia sportiva sul caso plusvalenze-Juve che ha portato la Corte d’Appello della Figc alla sentenza shock del meno 15? Dal punto di vista formale no. Al momento attuale, come da codice di giustizia sportiva, c’è stato un regolare invio degli atti giudiziari come vuole la prassi avvenuto a chiusura delle indagini. Quelle carte fanno parte di una imponente istruttoria che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di 12 dirigenti juventini, compreso l’ex presidente Andrea Agnelli. Anche l’ipotesi di un’astensione di uno dei tre pm che hanno lavorato sull’indagine “Prisma”, Santoriello appunto, anche solo per ragioni di opportunità, non cambia i termini della questione.
Carte legittime Il meccanismo è ormai collaudato. C’è una richiesta della procura Figc alla Procura della Repubblica competente, c’è un’attesa, c’è una risposta che generalmente arriva alla chiusura delle indagini quando tutti gli atti entrano nella disponibilità delle parti. Alla giustizia sportiva non interessano le modalità di acquisizione delle prove. Lo scrivono gli stessi giudici della Corte federale d’Appello nelle motivazioni del -15: «Esula poi dai poteri del giudice sportivo ogni valutazione sulla legittimità dell’operato dell’autorità giudiziaria in ordine all’acquisizione stessa delle intercettazioni. E ciò è vero, vuoi in riferimento al potere speso, vuoi in riferimento al dibattito odierno sulla opportunità di aumentare o ridurre l’ambito assoggettabile ad un tale mezzo di prova. Ai fini del processo sportivo, rileva esclusivamente la provenienza istituzionale del materiale ricevuto». Una sottolineatura che serve per ricordare la divisione delle parti sancita dalla legislazione in tema di “concorrenza” fra le diverse giustizie. Una cosa è quella sportiva, un’altra quella ordinaria. Rispondono a codici diversi anche se, come in questo caso, una (la penale) può funzionare da fonte per l’altra (la sportiva).
La sfida Ma se formalmente “l’effetto Santoriello” non sposta nulla in termini di giustizia sportiva, lo stesso si può dire nella sostanza? Anche in questo caso non ci può essere un rimbalzo diretto. Tuttavia la vicenda potrebbe in via teorica e tutta da dimostrare rafforzare le ragioni di una corrente innocentista che è presente anche fra gli esperti di giustizia sportiva. E che ritiene la sentenza vulnerabile soprattutto nella parte in cui condanna pesantemente la Juve e i suoi ex dirigenti assolvendo tutti gli altri interlocutori del club bianconero sul binario delle diverse plusvalenze. «Omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia»: questo è uno degli spazi che il Collegio di garanzia potrebbe utilizzare per chiedere una riforma della sentenza alla Corte d’Appello con una più robusta motivazione o addirittura la cancellazione della decisione. L’altro tema è la “violazione delle norme di diritto”, l’avere per esempio condannato in base a un articolo, il 4, che non faceva parte dei capi di incolpazione. È quello della mancata lealtà, il cuore della condanna che però per il procuratore e i giudici è declinabile in base alla responsabilità diretta dei dirigenti juventini dell’epoca dei fatti contestati (a loro l’articolo 4 è stato invece contestato). Su questo è prevedibile un’accesa battaglia legale in sede di Collegio di garanzia. I giudici di appello, infatti, hanno sostenuto nelle motivazioni che è la ripetitività dei comportamenti juventini rinvenuta dalle intercettazioni che ha portato alla condanna, non la singola operazione sospetta contestata anche agli altri club. In pratica, da una parte c’è un sistema di mancata lealtà (quello juventino), dall’altra singole operazioni (quelle degli altri club) che non hanno raggiunto il livello di prova tale da portare a una sanzione. Questa tesi ora reggerà?
Fonte: Gazzetta