Sacchi ai microfoni de “Il Mattino”: “Lo scudetto? Un premio al lavoro di Luciano”
«Con la Juve ho rivisto quel Napoli che gioca con una sinergia perfetta»
Sacchi incorona sua maestà Luciano. «Ora faccio il tifo per lui, ho anche gridato gol sul 2-0 di Kvara. Mia moglie si è stupita e si è spaventata: Arrigo, che succede?, ha urlato. Ma per Spalletti è arrivata l’ora di vincere lo scudetto, accidenti. Perché il gioco e le idee, con lui, sono al centro di ogni cosa. In Italia è un’eccezione. Sta spiegando a tutti che la bellezza è un valore, non solo un sogno». Il tecnico che ha rivoluzionato il calcio mondiale, il vate di Fusignano, il carismatico profeta che ha portato il Milan in vetta al mondo e l’Italia a un passo dal titolo mondiale del 94, sorride al Napoli delle meraviglie.
Sacchi, il campionato è nelle mani degli azzurri?
«La serie A è nelle mani di una squadra che ha un allenatore che ha capito che 1 per 11 fa 11 e che il collettivo è la forza di ogni cosa: se giochi al tiro alla fune, se tira uno solo, anche se è Maciste, alla fine perde. Nel Napoli tutti i giocatori si muovono come se fossero una sola entità, avanti e indietro. Non lo hanno fatto con l’Inter e hanno perso. Con la Juventus ho rivisto una perfetta sinergia. E la sinergia significa anche modestia: prevede un gruppo che corra e si sacrifichi e lotti per il compagno. Quello che ho visto fare l’altra sera».
Risultato e bellezza, questa volta, sono coincisi?
«Il 5-1 è lo specchio di quello che c’è stato. Da noi, tutti sono sempre confusi dal risultato, come se la prestazione non contasse nulla. Invece il Napoli ha unito le due cose. Perché non ha l’ossessione della sindrome di Pollicino. In Italia quasi tutte le squadre mancano di stile, non hanno più un tratto distintivo e il pubblico non lo pretende. Lì a Napoli è diverso: non c’è solo la religione del risultato, interessa anche altro. E poiché io tifo per il calcio, non posso ora non tifare per il Napoli».
Non serve anche la fortuna?
«Parola che ho cancellato. Sa cosa sosteneva Seneca? La fortuna non esiste, è solo il talento che incontra l’opportunità».
Di talento questo Napoli ne ha tantissimo?
«Sono colpito dalla forza di tre calciatori in particolare: Lobotka, Kvara e Osimhen. Ecco, quando vedo il nigeriano lottare per la squadra e con la squadra, con generosità e in maniera epica, in certi tratti mi torna alla mente il modo di essere di Van Basten. I suoi progressi sono enormi. Come lo sono quelli del regista slovacco: appena cala lui… e poi la crescita di Politano, Mario Rui, Di Lorenzo. È un gruppo superbo».
Cosa la colpisce?
«Io non guardavo mica i piedi prima di scegliere un calciatore. Io guardavo la testa, l’entusiasmo, la passione, l’intelligenza. Sennò da me non venivano mica. E questo Napoli è fatto di gente così. Quando prese il Milan, a Berlusconi lo chiamavano Sua Emittenza ma dopo le prime delusioni lo ribattezzarono Sua Perdenza. E lui non poteva pensarci. Era terrorizzato dall’ingaggio di Ancelotti, perché il medico aveva diagnosticato un ginocchio che funzionava al 20 per cento e l’altro che pure era messo male. Se lo prendo, mi ridono dietro, mi ripeteva. Io dissi: Sarei preoccupato se avesse problemi al cervello, lo prenda e vinceremo lo scudetto. Il Napoli è fatto di tanti giocatori che hanno la testa a posto».
Con tutto questo vantaggio, che rischio c’è?
«Di iniziare a pensare di essere imbattibili. Appena inizieranno a crederlo, arriveranno le sconfitte. E quello è un attimo: ti trovi tutte addosso e il pericolo è di mandare all’aria tutto quello che hai fatto fino ad adesso».
C’è qualcosa che non va in questo Napoli?
«Hanno fatto un bel po’ di pastrocchi in difesa con la Juventus. Ma lì è uscita fuori la sacra compagnia, dove le carenze individuali sono state compensate dal resto della squadra. Dall’unione che fa la forza. Contro la Juventus che ha calciatori con stipendi da 6-7 milioni, hanno vinto le idee, il lavoro e non i soldi. Ed è una gioia per tutti».
La Juventus l’ha delusa?
«Max è un tattico, la sua squadra non ha conoscenza collettiva. È un film senza alcuna trama ma con tanti premi Oscar come attori. Alla fine, meglio quei film che non hanno nel cast chissà che interpreti famosi ma hanno quelle sceneggiature che ti tengono attaccato alla tv fino all’ultimo secondo».
Però Allegri resta uno degli allenatori più vincenti.
«Tutto vero, ma il tattico non lascia eredità ideologica. È una questione di scelte. Spalletti ne ha fatta un’altra. Chi potrebbe mai accettare di vedere Cremonese e Udinese comandare il gioco quando un solo campione della Juventus costa quanto tutte le loro rose?».
Quale è stata la cosa più complicata da fare per Spalletti?
«Semplice: fare squadra. Il gioco esalta tutto, anche quelli bravi. Soprattutto loro. Davvero pensate che Osimhen e Kvara sono forti uguali lontano da questo Napoli? Un Paese come il nostro non lo capisce: perché non fa squadra in nulla. Ma se sei un gruppo è più facile gestire i momenti negativi del singolo. Poi è un attimo: passi dalla sicurezza all’insicurezza. E questo nel Napoli difficilmente potrà accadere».
Lei, però, col Milan le riuscì di rimontare 5 punti al Napoli in tre giornate nel 1988?
«Vero. Loro ebbero un calo nelle loro individualità e poiché non c’era uno spartito che reggeva quegli straordinari interpreti, riuscimmo a rimontare. Maradona rimase stupito dalla velocità di Ancelotti e mi disse: Certo, come corre veloce. E io gli dissi: Diego, ti sbagli: lui pensa veloce».
È il primo posto del progetto De Laurentiis.
«Lo è. Un progetto che ricorda lo scudetto del Milan di un anno fa. Anche quella una prodezza. Pure il Milan spese meno di Inter, Juventus e Roma, proprio come ha fatto il Napoli. Ma non mi stupisce affatto che ora Pioli non riesca a ripetersi: l’impresa è quella dello scorso campionato e resta tale».
Ma questo Napoli può sognare anche in Champions?
«Lì ci vuole un miracolo. Perché in Europa è diverso: trovi tanti strateghi e non trovi dei tattici come in Italia. E quando lo stratega ha a disposizione anche la qualità, nascono collettivi molto diversi da quelli che siamo abituati a vedere nella nostra serie A».
Sabato c’è la Salernitana e poi inizia il girone di ritorno. Cosa può succedere?
«Spalletti faccia mettere i tappi nelle orecchie ai suoi. Perché più si fa bene, più l’asticella si alza e più chi è intorno a te chiederà, anzi pretenderà, di più. Come se fosse tutto scontato quello che si è ottenuto fino ad adesso. E tenga a mente anche le lezioni negative».
Per esempio, quali?
«Ero in Qatar e quando ho visto le due sconfitte in amichevole con Lille e Villarreal devo ammettere che sono rimasto perplesso. Ho detto: mala tempora currunt. Perché ho visto il Napoli giocare non da squadra contro avversari stranieri che considerano ogni partita una partita importante. E gli stessi segnali negativi li ho notati a San Siro con l’Inter. Ma con la Juventus ho ammirato il Napoli bello che riempe gli occhi e ci rende a tutti orgogliosi. Perché noi amiamo il calcio e il calcio è un gioco collettivo. Luciano deve vincere lo scudetto: è il premio alla sua storia e alla sua carriera. Napoli è il suo capolavoro. Nel Napoli undici giocatori si muovono im perfetta sinergia. Ma la sinergia significa anche modestia: prevede un gruppo che corra e si sacrifichi e lotti per il compagno».
Insomma, chi deve temere il Napoli?
«Non chi, piuttosto cosa. L’Italia ha fatto un capolavoro vincendo l’Europeo, poi è successo qualcosa, abbiamo peccato di presunzione, chissà chi abbiamo creduto di essere e non siamo più riusciti a vincere neppure contro i salesiani… Il pericolo è quando si comincia a giocare per se stessi, pensando di essere arrivati, smettendo di pensare agli altri, ai propri compagni, come se il calcio fosse un gioco individuale. Ma il Napoli non lo farà».
Fonte: Il Mattino