Perchè questo può essere davvero l’anno del Napoli

11 gare di fila vinte in tutte le competizioni: non accadeva dal 1986

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Se ci voltiamo indietro e torniamo ai famosi mesi di luglio e agosto di questa estate, nessuno di noi avrebbe mai immaginato che in quel periodo si stesse costruendo una squadra che sarebbe stata prima in Italia e in Europa. 

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Contestazioni, malumori e critiche feroci ad una società assente soltanto apparentemente, ma che dietro le quinte era impegnata a costruire un grande Napoli, un Napoli da vertice. Una squadra che mai come quest’anno sembra aver raggiunto uno spessore e una maturità tali da poter realizzare per davvero qualcosa di importante a fine stagione e vincere il tanto atteso terzo scudetto della propria storia.

Un gruppo ringiovanito, che ha visto perdere nell’ultima sessione di calciomercato giocatori e leader importanti come Koulibaly, Fabian Ruiz, Mertens e Insigne. Una parte di atleti che ha contribuito in maniera importante alla crescita dell’ultimo decennio della compagine partenopea.

Un progetto, quello di De Laurentiis, che sotto il punto di vista tecnico è andato sempre a progredire e mai regredire. Con la visione e l’esperienza del Ds, Cristiano Giuntoli, si è riusciti a consegnare a Luciano Spalletti una rosa di altrettanto spessore, abbattendo anche il monte ingaggi. Un vero e proprio capolavoro.

Lasciare andare i vecchi senatori per fare spazio a calciatori nuovi, affamati e con caratteristiche diverse, si è rivelata una mossa addirittura necessaria. Come se la squadra, ma anche la rosa nel complesso che quest’anno è sicuramente più profonda e completa della stagione precedente, avesse bisogno di una nuova linfa per affermarsi definitivamente.

Un nuovo blocco di leader che, aggiunto a tutti gli altri giocatori rimasti, ha dato vita ad una macchina perfetta, guidata magistralmente da Luciano Spalletti.

Il tecnico toscano adesso ha due giocatori per ruolo e può trovare nuove e diverse soluzioni tattiche di partita in partita.

 

Da scommesse a certezze

 

Kim, Kvaratskhelia, Mathias Olivera ( contro i giallorossi altra grande prova del terzino uruguaiano ), Raspadori, Simeone e Ndombele, per citarne alcuni, erano definiti scommesse. Ma si sono dimostrati invece il motore che ha portato il Napoli in una dimensione che nessuno si immaginava. Gli azzurri giocano un gran calcio, divertono e si divertono. Sono forti nella testa e nelle gambe e vanno in gol con una facilità assurda: sono 43 le reti messe a segno fin qui tra Serie A e Champions.

È finito il tempo dei beniamini che si contavano sulle dita di una mano, adesso il popolo partenopeo i propri giocatori li ama e sostiene tutti. Dal primo all’ultimo, ogni elemento è considerato imprescindibile. Sintomo, anche questo, di una crescita generale del progetto tecnico. Di una forza distribuita in ogni zona del campo. 

11 partite di campionato: 9 vittorie,  2 pareggi e 0 sconfitte. E con il poker di vittorie in Champions League che ha permesso la qualificazione agli ottavi di finale con due gare di anticipo, gli azzurri hanno anche eguagliato un record storico. Era dal 1986, infatti, che il Napoli non vinceva 11 partite di fila in tutte le competizioni, allora in panchina c’era il vincitore dell’ultimo scudetto partenopeo, Ottavio Bianchi. 

Tutti questi dati dimostrano quanto gli azzurri siano cresciuti con la continuità del lavoro di Luciano Spalletti. Dal collettivo all’individuale. Dalle magie di Kvara ai gol delle punte passando per una difesa solida e un centrocampo totale con terzini che spingono e difendono. Considerando quest’ultimo aspetto, la crescita di Mario Rui, definito addirittura “il maestro” dai tifosi azzurri, è stata clamorosa. Il terzino portoghese, è passato dall’essere un giocatore da “vendere in fretta” a un elemento chiave per l’impostazione da dietro, i cross e la personalità con la quale guida la difesa. In mezzo al campo, invece, l’assortimento e la complementarità che c’è tra Anguissa, Lobotka e Zielinski, ha pochi eguali in Europa. 

 

Kvara, napoli,
Kvara Napoli

 

Il Napoli si mostra squadra corta, compatta, veloce, dinamica e coesa. Unita dentro e fuori dal campo, tutti aiutano tutti, dal più giovane al più veterano ( il capitano Giovanni Di Lorenzo su tutti ).

Una squadra capace di vincere partite di campionato e Champions annientando gli avversari, come i quattro gol al Liverpool e i dieci all’Ajax in due partite, e di non mollare mai di fronte alla speculazione di avversari come la Roma di Mourinho. Partite chiuse come quella di ieri sera all’Olimpico in un ambiente ostico, mettono il timbro sulla forza e la personalità degli uomini di Spalletti.

 

 

Protagonismo e coraggio per 90 minuti e oltre, e poi come si dice: “è l’ultima chiave del mazzo quella che apre la porta”. E l’ha trovata Osimhen con un gol che sfiora i limiti dell’impossibile. Secondo gli “Xg” ( expected goals ) il centravanti nigeriano aveva soltanto il 3,6% di possibilità di centrare la porta e segnare. Praticamente ha fatto un gol che non esiste. Il Napoli sembra non avere più paura di nessuno, è forte, consapevole e maturo. Vince partite dominando ma porta a casa anche quelle “sporche”. E in un campionato dove al momento solo il Milan sembra aver mantenuto le aspettative, nulla è precluso. In più c’è un Maradona sempre sold-out che rappresenta il dodicesimo uomo.

 

 

L’incognita Mondiale 

Di mezzo a questo spettacolo a cui non vorremmo mai rinunciare, ci sarà però un Mondiale invernale del tutto inedito. Per una stagione diversa che verrà divisa in due dalla massima competizione calcistica che lascia non pochi dubbi sul rientro dei giocatori nei club nel gennaio 2023. Stanchezza, infortuni e un lungo stop per chi non parteciperà al torneo saranno sicuramente delle incognite da valutare alla ripresa. 

Ma questo Napoli che alla prima post-Mondiale sfiderà l’Inter di Simone Inzaghi al San Siro, per quello che abbiamo visto può tranquillamente sopperire. 

La parole chiave resta sempre “consapevolezza”. 

La consapevolezza che quest’anno come non mai, per club e città di Napoli, si può ( ri ) scrivere la storia. 

 

A cura di Simone Di Maro

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