Kvara: «L’energia che ti dà la Champions non puoi trovarla da nessuna parte»
Dalle anticipazioni del docufilm sul talento georgiano emerge un sentimento già profondo con la città e con i tifosi
Chiederselo è un dovere: ma dove stava nascosto? E interrogare il calcio è un diritto: come hanno fatto a non accorgersene? Quando Cristiano Giuntoli scelse di puntare senza se e senza su Khvicha Kvaratskhelia, non solo Napoli piombò nel vuoto e però da quella sensazione di smarrimento (quasi) collettivo – ma chi è? – bastò un dribbling, poi un colpo di testa (e gol), poi un lancio (e assist) per uscirne. Un’ora sola e stava svanendo la letteratura, il pregiudizio, il luogo comune e la diffidenza che adesso, a novantasei giorni dal debutto di Verona, sa di altro: perché intanto Kvara è diventato la stella, il simbolo di una rivoluzione rumorosa che ha fatto del Napoli la Grande Bellezza 3.0 e del suo «fenomeno» l’idolo di un Paese che per sapere tutto ha persino allestito un docufilm, realizzato da Gt e Crocobet, che da ieri è online.
E Kvara confessa se stesso, le sue prime sensazioni, il proprio vissuto, le proprie ambizioni che nascono in quello stadio intitolato a un essere sovrannaturale come Diego. «È stata subito un’emozione, con quella atmosfera meravigliosa. In quel momento, ho realizzato che essere lì mi rendeva un giocatore di calcio a tutti gli effetti. Vorrei che tanti calciatori georgiani facessero la mia esperienza, che molti di loro possano raggiungere i loro obiettivi. Pensavo che non sarei mai riuscito ad arrivare dove sono ora. Il Napoli è uno dei club migliori d’Italia, specialmente grazie a Diego, e non avrei mai immaginato di poter esser parte di questa squadra fantastica»
È il Napoli dei quarantuno punti, delle tredici vittorie e due pareggi in campionato, è il Napoli che in Champions ha riempito l’Europa di sé, del proprio calcio, e anche di Kvara. È un Napoli che trascina nel delirio di massa e che induce a lasciarsi andare, pensando che… «Quando ascoltavo piccolo l’inno della Champions in tv, non avrei mai pensato di poterlo sentire dal vivo. E quella colonna sonora ti dà una energia che non puoi trovare altrove. E con il Liverpool, alla prima partita, ho pensato che mi abbia aiutato tantissimo. I tifosi mi incoraggiano, mi riempiono di calore e affetto. Avverto così tanto amore – e non solo nei miei confronti – che devo fare in modo di restituirlo quando gioco di fronte a loro allo stadio. Faccio di tutto per renderli felici, è una grande responsabilità per una città che vive di calcio».
LUI E LUCIO . Si scrive Kvara e poi si pensa a Spalletti, al suo primo allenatore italiano, all’uomo che gli ha consegnato la fascia che è stata di Insigne e che adesso è sua, completamente sua. «Ho imparato un sacco da lui finora, conosce il mondo del football, è un grande allenatore. Moltissimo mi hanno dato i miei compagni, perché sono molto forti e formiamo una famiglia».
E quando Kvara riflette su se stesso, fatica ad accontentarsi: «Non mi sento mai appagato, dopo ogni partita penso che mi manchi sempre qualcosa».
Ma quando si guarda Kvara, poi si pensa a Steph Curry, il suo riferimento non solo cestistico, il totem che lo ispira in quell’esultanza ereditata per starsene su un cuscino e sognare con le mani sulla guancia. «È il suo modo di festeggiare, quando la gente pensava che la sua squadra non avesse chance di vincere il titolo: parlavano di lui, del titolo, facevano questo gesto per dirgli che stesse dormendo. E quando finalmente ha segnato i canestri nella partita decisiva, probabilmente voleva dire: zitti e a dormire». Napoli chiude gli occhi…
Fonte: CdS