Lozano: “Napoli ha una passione incredibile, vi dico perchè mi chiamano El Chucky”

El Chucky Hirving Lozano si racconta senza filtri in una lunga lettera pubblicata da The Players' Tribune

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È un “Chucky” Lozano come non l’avete mai sentito, quello che si è raccontato a cuore aperto e senza filtri in una lunga lettera pubblicata dalla piattaforma multimediale di interviste e conversazioni sportive, “The Players’ Tribune”. 

 

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Di seguito vi proponiamo un estratto della lettera dell’attaccante del Napoli:

 

“Quando giocavamo, avevo fiamme negli occhi e un diavoletto sulla spalla. Io e i miei fratelli litigavamo sempre. Io litigavo con tutti… haha! Fuori dal campo ero un ragazzino timido, ma il gioco del calcio lo vivevo in modo diverso. Ero una persona diversa. Poi, sono diventato “El Chucky.”  Forse saprete perché mi abbiano soprannominato così, ma vi racconterò la vera storia….

A 10 anni giocavo nell’accademia del Pachuca e facevo sempre scherzi ai miei compagni di squadra: cose infantili, come nascondersi nell’armadio o sotto il letto e poi saltare fuori per spaventarli. All’epoca ero un piccolo bambino di 10 anni con i capelli a spazzola e quindi credo che per loro fossi come Chucky, protagonista del film La bambola assassina.

Ma il nome non è mai voluto essere un insulto. Un giorno, durante la prima settimana di permanenza, un paio di miei compagni di squadra sono venuti da me dicendo: “Ehi, sai, stavamo pensando… ti darebbe fastidio se ti chiamassimo Chucky?”

Erano venuti a chiedermi il permesso!

E io ho risposto: “Nessun problema”. 

Sarebbe potuto essere peggio, no?

lozano messico convocati
Hirving Lozano esultanza Napoli

E da quel momento in poi è rimasto con me. A seconda di dove mi trovo nel mondo, viene pronunciato in modo diverso. A Napoli sono abituato a sentire “Ciocci” o anche “Cuchi” haha! Ancora oggi ci sono persone che non usano mai il mio vero nome: credo che nemmeno il presidente del Pachuca lo conoscesse! Ero solo Chucky Lozano.

Sarò per sempre grato al Pachuca perché, a 18 anni, avevo già realizzato il sogno della mia infanzia. Cinque minuti dopo essere entrato in campo al mio debutto in prima squadra, ho segnato il gol della vittoria contro il Club América. All’Azteca.

È stato un momento incredibile, ma sapete qual è la cosa più assurda? Solo 10 giorni prima era nata mia figlia, Danielle.

Un tempismo eccezionale.

È stato … boom … un altro terremoto”. 

Napoli e la chiamata di Ancelotti

A essere sincero, ho avuto paura. Ero così giovane. Quando mia moglie Ana è rimasta incinta, non avevo idea di cosa sarebbe successo alla mia carriera. Stavo ancora cercando di farmi strada nell’under 17 e nell’under 20. Ero un ragazzino. Litigavo ancora con tutti! Ma non appena Danielle è arrivata, ho saputo subito cosa fare. Avevo finito di vivere per me. Dovevo vivere per lei. 

Anche se stavo per sfondare al Pachuca, guadagnavo ancora poco e ora avrei dovuto pagare tutto. Dovevo dare il meglio alla mia famiglia. Quindi, poter dire di aver segnato all’Azteca non era più sufficiente. Dovevo stabilire un nuovo sogno, obiettivi più grandi. Ho iniziato a vedere il mondo in modo diverso. 

Ho dato un’occhiata alla cartina. Ho ascoltato quello che dicevano i giornalisti e mi sono detto: Hmmm… Europa, devo giocare in Europa. E lì che giocano i migliori.

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Hirving Lozano

Tre anni più tardi, avevo portato la mia famiglia dall’altra parte del mondo, nei Paesi Bassi, con il PSV. Devo ringraziare Dio, perché il trasferimento andò molto bene. Nella mia prima stagione abbiamo vinto il campionato e nella seconda ho giocato nella Champions League e ho anche giocato da titolare nel Messico. 

 

Ancora una volta, nella mia carriera, Ana ed io ci siamo fermati e ci siamo chiesti: “Aspetta, ma cosa sta succedendo? Questa è la nostra vita, ora? Come siamo arrivati qui?!” Così tante cose erano successe tra il mio debutto e il PSV. Erano passati alcuni anni, ma per certi versi sembravano solo pochi giorni.

Dopo la Coppa del Mondo (e il terremoto), accadde un’altra cosa incredibile. Un giorno, ho ricevuto una telefonata da un numero italiano.

“Hola, Chucky? Sono Carlo Ancelotti”.Quando ho sentito il nome, sono quasi impazzito.

 Ancelotti aveva lavorato come opinionista per Televisa in Messico durante la Coppa del Mondo e aveva visto il mio gol. Voleva che io andassi a giocare per lui al Napoli.

Durante la stagione 2018-19, ricevevo telefonate da lui ogni settimana. Quando mi infortunavo, mi chiedeva: “Come va il ginocchio? Come procede il recupero?”

È una persona così. Quando mi chiese di andare al Napoli, come potevo dire di no?

Conosci già Ancelotti. È un grande allenatore, ma è ancora migliore come persona.

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Rigore Lozano Napoli-Empoli

La prima sera in Italia portò me e la mia famiglia a cena con tutta la sua famiglia. E intendo tutta la sua famiglia: portò anche i nipoti. Questo fu molto importante per me, perché credo che a volte la gente non si renda conto di quanto sia difficile cambiare Paese come calciatore.

Soprattutto per i latinoamericani, perché la cultura europea è così diversa e sei così lontano dalla famiglia. Ma Ancelotti sapeva come farti sentire a casa tua. Quell’umanità mi è rimasta impressa.

Fu uno shock quando fu licenziato dopo alcuni mesi di risultati zoppicanti. E, se devo dire la verità, ho avuto problemi mentali nella prima stagione. Giocavo e non giocavo e le cose diventarono difficili. 

Non molto tempo dopo la partenza di Ancelotti, arrivò il COVID. Ana e i bambini erano tornati in Messico e io avrei dovuto raggiungerli durante una pausa internazionale nel marzo del 2020, ma all’improvviso tutti i voli furono cancellati e io rimasi intrappolato da solo dall’altra parte del mondo. 

All’inizio, nessuno capiva cosa stesse succedendo. Pensavo che la cosa si sarebbe risolta in pochi giorni. Dopo qualche settimana, ho detto al club che non ce la facevo più. Li ho supplicati di lasciarmi tornare a casa. Ma loro dicevano: “Guarda, non puoi andartene. Non si tratta solo di una multa, finirai in galera”.

La passione che i tifosi hanno qui a Napoli è incredibile. Non riesco a spiegarla. Il modo in cui sostengono la loro squadra… come giocatore, ti riempie di energia e di orgoglio. C’è anche pressione, ma ormai ci sono abituato. Mi piace.

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