Napoli, 11 arresti per usura, tra le vittime anche l’ex azzurro Bruscolotti

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Per lui, per l’ex capitano e bandiera del Napoli, un tasso favorevole e un occhio di riguardo sulle scadenze. Per lui, per Giuseppe Bruscolotti, la rata usuraia era la metà di quella imposta a decine di commercianti e imprenditori del posto: del 20 e non dell’ordinario 40 per cento l’anno, secondo un tariffario che è stato svelato ieri nel corso di un’inchiesta sull’usura Napoli. Undici arresti, colpito il clan Baratto-Volpe, conosciuto dagli anni Ottanta per fatti di camorra, racket e prestiti a strozzo contro decine di famiglie (per lo più imprenditori e commercianti). Manette a Fuorigrotta. Siamo in un quartiere denso di attività economiche, la pressione della camorra dei Baratto-Volpe (qui noti come i calacioni) si consuma nel periodo peggiore della storia recente a Napoli: quella che va da maggio a ottobre del 2020, quando l’intera economia cittadina è ferma per la pandemia. Niente affari legali, banche incapaci di sostenere le richieste dei commercianti, c’è chi si è costretto a rivolgersi alla camorra. Bussano in una tabaccheria di via Leopardi, riconducibile alla famiglia di Antonio Volpe, quello – per intenderci – che venne ucciso il 15 marzo del 2021, a due passi dal negozio di famiglia.

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Brutto lo scenario che emerge dall’ordinanza firmata dal gip Leda Rossetti. Ci sono baristi, pasticcieri, antennisti e rivenditori di auto nel libro nero dell’usura della camorra di Fuorigrotta, gestita dalla famiglia di Antonio Volpe (che venne ucciso in via Leopardi il 15 marzo del 2021). E poi c’è Giuseppe Bruscolotti, l’ex difensore che cedette la fascia da capitano a Maradona nell’anno dello scudetto, che ha confermato di essere stato vittima della trama usuraia della famiglia Volpe. «Conoscevo Antonio Volpe da 30 anni, da quando ero giocatore professionista, mi sono rivolto a lui per aiutare una mia conoscente, che ottenne un prestito di 40mila euro per la sua agenzia di viaggio. Quando non riuscì più a sostenere le rate, Volpe mi chiamò e mi disse che avrei dovuto accollarmi il debito. Successivamente, quando il mio ristorante 10 maggio 1987 cominciò a non girare bene, mi sono rivolto anche io a Volpe per un prestito da 65 mila euro». Una vicenda che nasce dalle accuse di Gennaro Carra, l’ex boss di rione Traiano (cognato di Salvatore Cutolo, alias borotalco), che ha rivelato anche un particolare legato proprio alla bandiera azzurra: «Vidi Bruscolotti consegnare una busta nelle mani di Volpe, vidi sbucare dalla busta 5mila euro, Volpe mi disse che per lui c’era un tasso del 20 per cento, dimezzato in quanto ex capitano del Napoli». Ma sono diversi gli aspetti che emergono da questa vicenda. Come la presunta collusione del carabinieri Giuseppe Bucolo, compagnia di Bagnoli. Avrebbe ricevuto 500 euro alla settimana, in cambio di informazioni top secret. Spiega Carra: «Convocò me e Vincenzo Cutolo per mostrarci un fascicolo con una sessantina di nomi, segno che ci sarebbe stata una retata». Ma il presunto carabiniere infedele viene coinvolto anche in un brutto fatto di cronaca che scosse Napoli e l’Italia: il ferimento, il 24 settembre 2015, di un poliziotto impegnato, con un collega, in un’operazione antiracket. Il sovrintendente Nicola Barbato venne raggiunto dai colpi di pistola sparati da un affiliato, Raffaele Rende, poi arrestato e condannato. «Rende, dopo il fatto, – racconta Carra – portò la pistola al Volpe (Antonio) e quest’ultimo chiamò il Bucolo Giuseppe per farla sparire. Andai dal Volpe per reclamare la mia arma ma questi mi raccontò di averla affidata al Bucolo. Io mi stupii che un carabiniere potesse arrivare a tanto, visto che quell’arma aveva sparato contro un poliziotto». Una inchiesta, bene chiarirlo, che è stata condotta dai carabinieri del comando provinciale di Napoli.
Il Mattino
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