L’editoriale del vice direttore del cds Alessandro Barbaro:
“Non ce n’è per nessuno. Non solo perché per ottanta minuti il Napoli schiaccia la Roma nella sua metà campo negandole anche un solo tiro in porta. Non solo perché il diagonale con cui Osimhen trafigge Rui Patricio è un capolavoro di balistica. Ma perché, nei quindici minuti che restano a Mourinho per recuperare il risultato, gli azzurri stanno costantemente nella trequarti avversaria, palleggiano tra le linee e sfiorano anche il raddoppio. Quella di Spalletti è una squadra stellare, perché ha qualità, carattere e uno straordinario raziocinio tattico. Che le consente di adattare il proprio gioco a quello dell’avversario, senza però subirlo, cioè senza rinunciare al dominio. Per quattro quinti di gara il Napoli sbatte contro la barriera dei giallorossi, fatta di una difesa a cinque che limita, per quello che può, gli affondi di Kvara e Lozano. Ma non perde la pazienza, né la concentrazione, perché la vittoria resta l’obiettivo della propria strategia, anche quando sembra privilegiare qualche accortezza difensiva, rinunciando alle verticalizzazioni veloci che in altre circostanze fanno irresistibile il suo gioco.
C’è Mourinho di fronte, Spalletti lo conosce bene, e ha visto la Roma disporsi nella sua monocorde ragnatela attendista, nell’attesa di sfiancare gli avversari e poi nel secondo tempo tentare la sortita in contropiede, quando gli spazi si allungano. Spalletti sa che solo la fretta può punirlo, perciò ha preparato i suoi azzurri a una guerra di nervi. Senza rischiare di scoprirsi, anche a costo di far girare la palla da sinistra a destra, e da
destra a sinistra, dieci volte di seguito, facendo possesso senza affondare. Ma il baricentro del gioco deve restare costantemente nella trequarti avversaria. Obiettivo riuscito perfettamente, perché la Roma non esce dal suo guscio di protezione che ha costruito e che diventerà alla fine la sua prigione.
Naturalmente è più facile imporre il gioco quando si dispone di una tecnica individuale superiore, quando gli errori nei passaggi sono un’eventualità remota, quando si corre meglio senza palla, offrendo al compagno un ampio ventaglio di opzioni. Ma la vera chiave della partita è il pressing strategico, diverso da quello che in altre partite il Napoli ha praticato. Stavolta gli azzurri non corrono incontro al portiere avversario, ma si dispongono in cinque sulla trequarti, impedendo alla Roma di uscire con il palleggio. L’applicazione di questa tattica è perfetta. La squadra giallorossa presto si scopre ingabbiata dalla trappola che essa stessa ha teso agli azzurri.
L’esito di questo confronto è l’acme del tatticismo e una partita brutta dal punto di vista spettacolare. La Roma non fa un solo tiro nella porta di Meret. Il Napoli invece ne conta cinque, sei volte di meno dei trenta scoccati con il Bologna. Ma cinque tiri possono bastare a una squadra che ha attaccanti con la qualità e la condizione atletica di Victor Osimhen. Spalletti potrebbe sostituirlo dopo il primo tempo, ma sa bene che il nigeriano è la leva per spostare in avanti il baricentro del gioco, o se preferite il chiodo a cui appendere il pressing. E poi Osimhen ha voglia di recuperare il tempo perduto nel lungo infortunio. Il modo con cui sguscia dall’interno al pur esperto Smalling, che lo ha parzialmente limitato fino a quel momento, è un capolavoro di furbizia. Ciononostante dalla posizione in cui sferra il suo diagonale ci sono, secondo la simulazione di Opta fondata su una gigantesca mole di precedenti, tre virgola sei probabilità su cento di segnare. Anche perché Rui Patricio sta due passi fuori dalla linea di porta, copre primo e secondo palo. Resta scoperto uno spicchio di rete, su un angolo che rispetto alla linea di fondo non arriva a quindici gradi. Per capirci, il tiro è un colpo di biliardo con la potenza di un colpo di cannone. È facile dirlo a posteriori, e forse in parte sembrerà un luogo comune, però un colpo così riesce solo a una squadra che desidera la vittoria con tutta se stessa. La desidera con la passione, eppure ha messo in conto con la ragione di poterla non ottenere. Il Napoli di Spalletti è proprio questo: equilibrio sublime di passione e ragione”.
Alessandro Barbano (Cds)