Per ragioni di fede allora iniziamo da Mourinho? «Premessa doverosa: sono innamorato pazzamente di lui. Perché riempie il vuoto di tutto il resto. È il calcio. Riesce a dare quel tanto di più al di là dell’aspetto tecnico. È un animale da palcoscenico».
Dal set al campo di calcio è un attimo. Lo sa bene Enrico Vanzina, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. E sulle panchine di Roma e Napoli ci sono due personaggi che il cinema potrebbero farlo.
E allora iniziamo da qui: lei li vedrebbe bene insieme sullo stesso set? «Sono personaggi solitari. Meglio dare a ognuno il proprio spazio».
E in un film? «Lo vedo come un personaggio del west. Perché arriva solitario per rimettere a posto le cose».
Però ha detto: non con Spalletti… «No. Per restare sul tema western: non potrebbero fare Trinità insieme».
Perché, Spalletti che tipo è? «Fa meno spettacolo di Mourinho. Ecco, lo vedrei bene più in un qualcosa di drammatico».
Perché? «È uno strano personaggio perché ha anche dei piccoli drammi interni che non tira fuori. Si concede meno al pubblico pur essendo molto intelligente come Mou».
Il tratto comune tra i due? «Anche quando drammatizzano lo fanno in maniera intelligente. Non sbottano per sbottare, ma per mandare dei messaggi. Tutto quello che fanno o dicono è pensato. Conosco bene le regole. Sembrano spontanei, ma sotto sotto è tutto preparato. Questo ovviamente li rende molto simpatici, ma se vai a vedere attentamente non sono mai in preda al panico o all’entusiasmo. Insomma: sono due attori prima ancora che due allenatori».
Li ha conosciuti fuori dal campo? «Spalletti l’ho conosciuto poco, perché salvo casi eccezionali non ho mai avuto rapporti personali con gli allenatori della Roma. Cerco di essere distante. A Roma ha fatto un ottimo lavoro e siamo stati lì lì per vincere. Se proprio dobbiamo dirlo: ti illudeva ma questo scudetto non arrivava mai. E poi ho vissuto con dolore la vicenda con Totti».
Quindi che ritorno si immagina per lui all’Olimpico? «Per lui venire a Roma è sempre un problema perché c’è un agrodolce che lo lega a quello stadio e sarà molto emozionato. Lo stesso discorso che vale per Mou contro l’Inter».
Ci ha detto della loro capacità comunicativa: ma un punto debole ce l’hanno? «Quello di Spalletti credo sia la gestione della personalità dei grandi giocatori. Quando lo tocchi lì viene fuori un altro Spalletti. Forse più autentico, ma sicuramente meno artefatto».
E per Mourinho? «Beh facile: i risultati. Dovunque sia andato è sempre stato per vincere. Quando il risultato non è come lui si aspettava esce fuori dal suo solito lessico impeccabile e recitato. Ma anche a Roma eh: lui è vissuto come un profeta perché è la speranza per vincere»
Mentre Spalletti? «Sta vivendo questo momento con il Napoli con un pizzico di drammaticità. Sa che questo è il momento di vincere. Si vede che ha un po’ la scimmia sulla spalla, oppure il braccino del tennista. Quando vedi che sorride troppo vuol dire che è molto preoccupato».
Però ci racconti di lei e la Roma. «Non credo ci possa essere momento migliore. Mi sono innamorato della Roma quando mia mamma mi ha portato allo stadio per la prima volta. Roma-Napoli 8-1. Ero un ragazzino: non innamorarsi dopo quella partita sarebbe stato impossibile. E sono un tifoso sfegatato. Sono sempre andato a vedere le partite in casa e in trasferta fino al Covid. Tornerò domani: proprio per Roma-Napoli».
Il Mattino