Lorenzo e Di Lorenzo. Loro, che per arrivare ai gradi di leader hanno dovuto attraversare tutto il cursus honorum, aspettando il momento giusto. Loro, che per le rispettive squadre sono praticamente insostituibili: Mourinho è quello che «se avessi tre Pellegrini, li farei giocare tutti e tre. Con lui basta uno sguardo per capirci: se sta bene, Lorenzo va in campo»; Spalletti invece, crede nelle rotazioni, ma stabilisce un’eccezione per il suo Giovanni che «sembra un robot e non un umano: anche negli allenamenti post partita spinge fortissimo, non abbassa mai la tensione, ha una resistenza formidabile. Nessun allenatore rinuncia a un calciatore così».
Pellegrini è stato nominato capitano all’improvviso, pur essendo «un predestinato»: gli hanno detto che Dzeko sarebbe stato degradato dopo il duro scontro con l’allenatore di allora, Paulo Fonseca, nell’inverno del 2021. Da quel momento nessuno l’ha più discusso, nello spogliatoio e nello stadio. Di Lorenzo è stato scelto da tecnico e compagni, dopo l’addio di Insigne. Leader calmo, ma presente. Manifesta attraverso l’esempio. Non si è imposto, è stato voluto. Lui ha meritato la fascia. Nessuno ha avuto nulla da obiettare. Domani, Roma/Napoli sarà anche la loro.
Fonte CdS