Il rapporto tra il giornalista e scrittore Giancarlo Dotto e Luciano Spalletti è nato a Roma mentre la piazza ribolliva contro l’allenatore che aveva rotto con Totti. «Non lo conoscevo di persona. Presi una posizione impopolare, non mi schierai contro questo o quello, ma dalla parte di un concetto: perché un capitano non cerca di armonizzare anziché dividere?».
Capello ha detto di Spalletti: «In certi momenti è un attore». Davvero recita? «Capello ha preso una cantonata perché Spalletti non recita. Lui non ha l’attitudine alla felicità e non se la concede neanche adesso che vive la stagione più esaltante e, a 63 anni, ottiene con il suo calcio spettacolare i meritati riconoscimenti».
Perché Spalletti non sa essere felice? «Ti aspetti che in questo momento, con i suoi ragazzi che vincono e divertono, sia euforico e invece prendono il sopravvento i fantasmi del passato e le ingiustizie subite. Lui è legato alla terra e ne ha tratto importanti insegnamenti: sa che le felicità sono effimere».
I fantasmi del passato: quali? «La storia dei tre capitani: i problemi con Totti e Icardi e, se vogliamo, anche la vicenda di Insigne al suo ultimo anno a Napoli. A Roma venne trattato in modo indecente. Eppure, là dove è andato, ha sempre centrato gli obiettivi, talvolta spingendosi anche oltre, da ambizioso e aziendalista qual é».
Spalletti ha replicato a Capello: «Mi comporto in un certo modo perché conosco Napoli». E così dura Napoli? «Nella scorsa stagione lui ha autorizzato sogni in una piazza abbastanza sfrenata. E c’è stato un effetto boomerang quando ha raggiunto il terzo posto: la Champions era una tombola e invece sembrò un premio di consolazione».
Luciano l’aziendalista ha accettato tutte le partenze dei calciatori. «Aveva detto che tutti si potevano vendere ma non Koulibaly perché altrimenti si sarebbe dimesso. E invece ha accettato anche le cessioni di Kalidou e di Fabian, altro giocatore che stimava. Ha creato un perfetto connubio con Giuntoli, che ha trovato un uomo che appare e sparisce nella stessa partita, Kvaratskhelia, di quelli che piacciono a Luciano. Il calciatore totem per lui è Pizarro e lo ha reinventato a Napoli, quel Lobotka che era diventato quasi materia di scarto».
Com’è Spalletti fuori dal campo? «Completamente concentrato sul calcio. Conserva le rassegne stampa di tutte le sue stagioni da allenatore, prepara con cura anche le conferenze. C’è chi lo considera un genio, e lo credo anch’io, invece Luciano ritiene che i risultati si ottengono soltanto con sacrificio e impegno. E i risultati adesso lo premiano: Napoli è ai suoi piedi».
A Roma e Milano, invece, vi furono due strappi. «A Roma subì una brutale aggressione. Sostiene Spalletti: Là mi hanno amato. Ma non come avrebbe meritato per il suo calcio champagne con Taddei e Perrotta, mai più visto. Con l’Inter aveva centrato la Champions nonostante la grana Icardi, senza chiedere nulla alla società. A chi venne dopo, Conte, venne concesso tutto. Luciano è ripartito con una gigantesca rabbia».
Dopo i quattro gol all’Ajax Spalletti ha detto: «Portiamo in campo l’orgoglio di Napoli». «Non è ruffianeria. Vive da solo in hotel, non incontra giornalisti a cena: è un uomo semplice che cerca con certi discorsi di creare un legame identitario».
E con De Laurentiis? «Tra loro c’è un patto silente. I due anni vissuti senza allenare sono stati fondamentali per Spalletti, che uscì devastato dall’Inter. De Laurentiis ha piglio patronale, Spalletti fa muro contro muro con se stesso ma non con il suo mondo che conosce e di cui accetta le regole. E ora più che mai Luciano merita lo scudetto».
A giugno scade il contratto col Napoli: che succederà? «Bisognerà entrare quel giorno nella sua testa, nel suo labirinto: è un evento che può scacciare il peso di fantasmi e ingiustizie».
Il Mattino
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