F a-vo-lo-so: e da quel calcio da sogno dal quale una città intera non si staccherebbe mai, neanche per un attimo, Napoli scopre il senso pieno della felicità, quella dimensione onirica nella quale lasciarsi. The show must go on: ed è uno spettacolo abbagliante, dodici punti in quattro partite con diciassette gol (come nessuna italiana nei gironi), gli ottavi di Champions League conquistati con centottanta minuti di anticipo (come mai nella storia del club) e un delirio di massa che trascina alla soglia dell’incredulità. Il calcio come raramente s’è visto è in un’altra serata di straordinaria “follia”, in 90′ di contagiosa allegria, in un’emozione travolgente perché lì dentro c’è tutto: il palleggio, le fasi attive e passive, l’organizzazione che un allenatore geniale ha distribuito, la chimica che fonde talenti da stropicciarsi gli occhi e le individualità di uomini che non conoscono limiti.
Il 4-2 all’Ajax (preso ripetutamente a ceffoni in una settimana) è una lezione a ritmo incessante e scandita ovunque, in attacco e in difesa, in mezzo e sugli esterni, in un’Enciclopedia esaltata dalle statistiche che grondano dalle pieghe d’una partita prossima alla perfezione, piena di tante cose, del piacere di giocarla e di viverla. Il Napoli all’olandese, che esibisce in faccia all’Ajax la sua intepretazione moderna, quasi avveniristica, è nella capacità di dominare il campo in ogni sua zona, di sprigionare improvvisamente la propria verticalità, di spaccare la partita con l’uno-due da standig ovation che Zielinski e Lozano allestiscono (4′) all’alba dell’ennesima memorabile nottata, di addobbarla con dieci tocchi – per andare da Meret sino a Raspadori – e sentirsi cullare dalla gioia del Maradona.
L’Ajax è dominato fino a restare stravolto, tenta di rovesciare il destino rimescolando il proprio centrocampo e sistemando Klaassen come vertice alto per ispirarsi o per frenare Lobotka: ma Spalletti ha gli anticorpi, palleggia nello stretto per sprigionare con Lozano e uno stellare Kvaratskhelia quell’energia devastante che rapisce.
CALMA. Il 4-2 sa di inganno, come il 2-1 che Klaassen (su iniziativa sottovalutata da Olivera, al 4′ st) elabora comunque con raffinatezza: e il Napoli, senza più Anguissa infortunato ma con Ndombele, si scrolla dall’anima l’idea di gestire, si rimette ad allargare l’Ajax, lo anestetizza nel cuore dell’area, si prende un rigore che dimostra pure la freddezza di Kvara e diverte finché può, finché sente di averne il piacere. Non c’è duello che includa in sé tracce di equilibrio, Kvara ha già declamato il vocabolario del football, Zielinski l’ha agghindato della forma poetica, Lobotka l’ha sussurrato con quella capacità di trovare angoli di passaggio e soluzioni alternative utili che Osimhen, un mese dopo l’infortunio con il Liverpool, potrebbe esaltare.
È una mattanza, di nuovo, nonostante si resti in perimetri (quasi) umani con il rigorino (38′ st) per l’Ajax: ma il Napoli che Spalletti ha allestito è un invito all’esaltazione, ha già dimenticato che Lozano (30′) è andato a sbattere su Pasveer dopo 50 metri in fulminante contropiede; ha ignorato che Osimhen (34′) s’è lasciato trascinare dalla sua bulimia in fuorigioco su una lettura agevole; ha cancellato persino l’errore a centimetri zero di Osi (40′), ma ha continuato a pressare alto – lo chiamerebbero gegenpressing altrove – perché ci sono sfide che vanno chiuse sfilando via nel vento, con il 4-2 strappato da quel cavallo pazzo nigeriano che scippa il pallone a Blind e fa d’una vittoria un trionfo.
L’Europa del calcio sa di Napoli: fa-vo-lo-so.
Fonte: Cds