Trent’anni fa Diego lasciò il Napoli ma quello non fu mai un addio
Trent’anni fa, 22 settembre 1992, Diego Armando Maradona diede ufficialmente l’addio al Napoli. Ma scoprimmo negli anni, nei mesi e nei giorni successivi che non era un addio. Non poteva esserlo. Si era creato dall’84 al ’91 un rapporto simbiotico con Napoli e non soltanto perché erano stati vinti due scudetti e Coppa Uefa. Diego, il ragazzo del Sud (America), era nel entrato nel cuore della gente del Sud (Italia). Ne aveva colto l’ansia di riscatto e quel riscatto, con i suoi gol e le sue vittorie, lo aveva portato a termine. Aveva accarezzato i napoletani e da essi si era lasciato accarezzare. Era un amore che non avrebbe spento il passaggio al club spagnolo del Siviglia. Non lo ha interrotto neanche la morte avvenuta il 25 novembre di due anni fa, figurarsi.
Terminata la squalifica per doping scattata dopo la positività al test antidoping del 17 marzo 1991, Maradona fu molto chiaro con il suo procuratore Marcos Franchi: «Io a Napoli non torno». Si aprì un contenzioso legale con Ferlaino, che voleva far valere il contratto. Dal ritiro di Molveno, in Trentino, partirono alcune telefonate di un paio di compagni più legati (Crippa e Mauro) a Diego per tentare di convincerlo a indossare di nuovo la casacca azzurra, a 32 anni e dopo mesi difficili: non soltanto la squalifica ma anche l’arresto in un appartamento di Buenos Aires dove stava facendo un uso smodato di cocaina e il ciclo di disintossicazione. Diego trovò un alleato insperato in quella battaglia contro il Napoli: la Fifa. I più potenti tra i potenti, quelli che lui aveva sempre combattuto. Il segretario generale e futuro presidente Joseph Blatter sostenne con Angel Villar, presidente della Federcalcio spagnola, le ragioni di Maradona che voleva tornare in Europa e giocare nel Siviglia allenato da Carlos Bilardo, il Dottore che era stato ct della Seleccion mondiale nell’86. Fu una battaglia durissima perché il presidente Ferlaino e il suo staff legale, coordinato dall’eccellente avvocato Roberto Montemurro, non mollavano. Ma Diego se ne fregò, al solito. Prese un aereo con la famiglia e il clan e il 13 settembre sbarcò a Siviglia. Si chiuse in un hotel aspettando gli eventi.
E nove giorni dopo, il 22 settembre, arrivò il via libera per firmare il contratto, allenarsi e giocare. Al Napoli furono assicurati 7,5 milioni di dollari, in realtà il club azzurro ne vide poco meno di 4. Diego cominciò la sua avventura con un altro argentino in squadra: Simeone, il papà del Cholito che adesso gioca nel Napoli. Maradona si fermò un anno a Siviglia: 27 partite e 8 gol, la squadra si classificò settima nella Liga. La sua vita fu quella di sempre. Si scoprì, dopo la morte di Diego, che il Siviglia aveva ingaggiato un investigatore privato per seguire i movimenti del Pibe. Che a Siviglia continuò a vivere alla sua maniera, cioè male.
Il legame con Napoli non si spezzò. Diegò se la prese con Ferlaino, mai con i suoi tifosi, che riabbracciò nella primavera 2005 al San Paolo, quando Ciro Ferrara organizzò la partita d’addio al calcio. E poi li vide tante altre volte, fino a quella sera del 2017 in piazza del Plebiscito quando festeggiò la cittadinanza onoraria. Tre anni dopo arrivò la notizia della sua morte. Anzi, no: Diego è eterno.
F. De Luca (Il mattino)