Doveri, arbitro: “Torna l’intenzionalità nei falli di mano e fuorigioco”

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Ecco un pezzo dell’intervista rilasciata all’arbitro Doveri dal CDS:

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Rocchi ha annunciato una linea dura contro gli allenatori che protestano. Ma anche in campo ci sono precise strategie di condizionamento arbitrale, che passano per contestazioni e forme velate di intimidazione. Cambierete atteggiamento?
«Chi protesta in modo istintivo e misurato sarà compreso, come sempre. Perché la frustrazione fa parte della psicologia del gioco e impone tolleranza. Chi prova a farti pressione in modo sistematico va invece avvisato con il cartellino. Prima giallo. Ci sarà più attenzione a questi atteggiamenti, soprattuto sulle panchine. Ci sono allenatori che escono dall’area tecnica per dare disposizioni in campo e magari si agitano perché il climax della partita è alto. Li puoi comprendere. Ma chi si fa avanti per venti metri, con l’aria minacciosa di chi non ci sta, non può essere tollerato».

Cambia il fuorigioco sulle deviazioni, solo quelle intenzionali rimettono l’attaccante in regola. Vuol dire che torna centrale il concetto di volontarietà, dopo anni in cui era scomparso. Noi abbiamo spesso auspicato questo cambiamento, perché il calcio non è un gioco del caso. Condivide?
«Sì, la volontarietà deve cogliersi nell’intenzionalità della giocata come atteggiamento psicologico, ma anche in alcune condizioni oggettive. Se il pallone viaggia a velocità, è più difficile da controllare, e quindi è più difficile intendere la deviazione come volontaria. Lo stesso deve dirsi se il pallone sbuca quasi come un rimpallo tra un nugolo di giocatori. Sono parametri che ci aiutano a distinguere che cos’è intenzionale, ed esclude il fuorigioco, e che cosa invece è involontario. È importante anche il controllo del corpo. Il gesto disperato di un calciatore che scivola per interdire il pallone non è una giocata intenzionale».

Anche sul fallo di mano siamo passati dalla volontarietà all’accidentalità, per poi tornare indietro. Si continua così?
«Come l’anno scorso. Sui tiri e sui cross vale la geometria del braccio: se è largo, è rigore. Ma nelle altre situazioni la dinamica avrà un peso più importante. Il braccio largo è meno rilevante se è coerente con l’intenzionalità della giocata, a patto di non esagerare. Per fare un esempio, nessuno può pensare di saltare su un calcio d’angolo allargando le braccia al cielo».

Rocchi ha detto che, nel rapporto con il Var, il decisore di ultima istanza è l’arbitro. Servirà a superare la rivalità che ha prodotto l’anno scorso uno scarico di responsabilità reciproco, con decisioni paradossali?
«In realtà, la responsabilità dell’arbitro non è stata mai messa in discussione. Se ho un rammarico, avendo arbitrato prima e dopo l’introduzione del Var, è che la tecnologia non sia arrivata prima».

Ma gli arbitri sentirebbero il challenge, cioè il Var a chiamata, come una diminutio?
«Noi applichiamo il regolamento. Il challenge è ormai una soluzione allo studio di FIFA e IFAB, sollecitata peraltro da molti. Quando ci sarà presentata, non avremo pregiudizi».

 

Lei è personalmente favorevole?
«Sono curioso di sperimentarla. E di verificare se servirà a ridurre le polemiche».

E forse anche a scoraggiare i cascatori d’area, a vantaggio di una maggiore lealtà sportiva, non crede?
«Per costoro dovrebbe bastare il Var».

D’accordo anche sull’introduzione del tempo effettivo?
«Sì, è il miglior modo per scongiurare l’ostruzionismo».

Ma perché gli arbitri non motivano le loro decisioni? Non sarebbe un segnale di trasparenza utile?
«Il fatto che io e lei parliamo anni fa sarebbe stato impensabile. Però andare in zona mista dopo la partita a spiegare le tue scelte è complicato. Soprattutto prima che il giudice sportivo abbia preso le sue decisioni. Dal mercoledì in poi, non avrei nessun problema a motivare una scelta e anche ad ammettere un errore in pubblico. A patto che chi ascolta non sia lì solo per attaccarmi».

Le donne sono un cambiamento epocale in un ambiente storicamente maschilista. Rischiano di pagare un deficit di esperienza?
«Le ragazze che sono arrivate quest’anno nel gruppo di serie A hanno la stessa esperienza che avevo io tredici anni fa. Non esiste il problema».

Ma il loro ingresso è uno specchietto per le allodole, o il primo passo verso una parità effettiva?
«La seconda che ha detto. In pochi anni deve contare solo il merito, non il genere».

Lei di anni ne ha quarantacinque. Quanta voglia ha ancora di calcio?
«Per fortuna l’anzianità non è più una barriera. E io ho ancora entusiasmo e birra nelle gambe. Non finisce qui».

Fonte: CdS

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