Daniele Doveri la spiega così la novità dell’arbitraggio nel campionato che si apre: «Discernere di più il fallo dal contatto di gioco. E fischiare solo il primo». Romano, quarantaquattro anni, da tredici sui campi di serie A, è uno degli arbitri più influenti del calcio italiano. Non a caso è nel gruppo dei Video Match Officials, gli ufficiali di gara che svolgono la funzione di VAR per la FIFA. Se gli chiedi se giocheremo all’inglese, ti risponde che sì, è un auspicio, ma aggiunge: «Non dipende solo da noi».
Perché?
«Per numero di falli siamo allineati alla Champions e ci avviciniamo alla Premier. L’indicazione è quella di non sanzionare tutti i contatti di gioco, ma l’obiettivo di uniformarci al calcio inglese deve essere condiviso da tutte le componenti».
Si spieghi meglio.
«Io non entro in campo col proposito di fischiare poco o molto. Devo mettermi in connessione con la partita e con il modo in cui la interpretano i calciatori. Sono loro alla fine che decidono quanti falli devo fischiare».
Però non tutti fischiate allo stesso modo. Lei, per esempio, passa per un arbitro che lascia giocare.
«Nelle statistiche sono proprio in mezzo al gruppo. Ma le statistiche non spiegano tutto. L’anno scorso ho arbitrato gare fischiando dodici falli, ma in Genoa-Udinese ho fermato il gioco quarantotto volte».
Quanto conta, al di là dei falli, il livello di tensione della gara?
«Certamente non poco. Se lascio giocare un contrasto duro, e mi ripeto in quello successivo, e poi la terza volta si spaccano una gamba, vuol dire che non sono sintonizzato con la partita. Se invece lascio andare qualche contatto vigoroso e percepisco che i calciatori accettano di confrontarsi fisicamente, ma in maniera leale, allora posso proseguire su quella strada. Il fatto è che nessuno ti dice che non spezzerà la gamba all’avversario, devi intuirlo da come gli atleti interpretano la gara, e anche da come si rialzano dopo essere caduti per terra. C’è un codice culturale che fa una strana microfisica del potere. È quella che decide quanto è possibile abbassare l’asticella del controllo. L’arbitro deve saperla leggere, ma non la impone solo lui. Se la tensione cresce, i colpi si fanno più duri, le proteste s’infiammano, tu devi smorzare i toni, perché il compito dell’arbitro è anche quello di proteggere l’incolumità dei calciatori».
Sui rigori, poi, le interpretazioni sono apparse troppo divergenti.
«Non ho questa visione. Credo che sui rigori ci fosse una linea condivisa. Tant’è vero che quando è stato fischiato qualche rigore leggero, se ne sono accorti tutti. Ma la regola era chiara».
Quindi quest’anno ne vedremo di meno? Nelle ultime tre stagioni siamo passati da 187 a 150, a 140. Si scende ancora?
«Sul numero non scommetto, perché non siamo noi a fare il gioco. Ma certamente cercheremo di avere ancora più discernimento tra ciò che è fallo e ciò che è contatto».
Fonte: CDS