Matarrese, le verità di un ex potente (ma non quella su Italia-Argentina)
L'EX PRESIDENTE FIGC RIEVOCA LA SEMIFINALE DEL 1990 AL SAN PAOLO «LA MAGGIORANZA DEI NAPOLETANI TIFÒ PER MARADONA»
Antonio Matarrese è stato un dirigente calcistico così potente da portare a casa sua, nello stadio San Nicola di Bari progettato da Renzo Piano, la finale della Coppa dei Campioni del 91. L’ex presidente di Federcalcio e Lega, alto dirigente anche di Uefa e Fifa (vicepresidente di entrambe le confederazioni), ha ricostruito la sua vita imprenditoriale, politica e sportiva, cominciata come patron della squadra pugliese ora di proprietà della famiglia De Laurentiis, nel libro E adesso parlo io (Cairo Editore, pagg. 208, euro 16,50), scritto con Alberto Cerruti, firma di prestigio della Gazzetta dello Sport.
Tanti gli spunti, a cominciare dall’amarcord dell’82 in Spagna, quando – da presidente della Lega – Matarrese criticò la futura Nazionale campione del mondo dopo il pareggio con il Perù:
«Se fossi stato in Sordillo (presidente della Figc, ndr) avrei preso i giocatori a calci nel sedere». Immaginabile con quali occhi fu poi visto nel ritiro azzurro dove – ricorda l’ex presidente – c’era un dirigente napoletano, Carlo de Gaudio, che sapeva trasmettere fiducia al ct Bearzot e al gruppo. Fu de Gaudio, a distanza di qualche anno, a portare Tonino nel salotto buono del calcio europeo, spingendolo verso la vicepresidenza dell’Uefa.
Un’ampia parte del libro è dedicata al Mondiale del 90, l’evento che fece accrescere il potere di Matarrese, che arrivò a dire a Papa Giovanni Paolo II durante un incontro in Vaticano: «Io sono il Papa del calcio». E dire che Tonino aveva un fratello vescovo, Giuseppe. Tra tante verità e curiosità (arrivò a far realizzare una serie di medaglie con il suo volto su un lato e il simbolo di Italia 90 sull’altro, costo 13 milioni di lire) c’è una storia ricostruita non con precisione dall’ex capo del calcio italiano ed è quella della semifinale mondiale contro l’Argentina, persa dalla Nazionale di Vicini ai rigori nella semifinale del 3 luglio al San Paolo.
Perché anche Matarrese racconta che Napoli tifò per la Seleccion guidata da Maradona, il capitano che due mesi prima aveva festeggiato con il suo popolo a Fuorigrotta la conquista del secondo scudetto. «Non avevo mai pensato che lasciando Roma e lo stadio Olimpico, dove avevamo sempre vinto senza subire nemmeno un gol, si potesse rompere quella sorta di incantesimo. Napoli è in Italia e noi siamo l’Italia, perché avrei dovuto temere qualcosa? L’euforia era la nostra fedele compagna di viaggio e quindi mi avvicinai alla semifinale convinto che l’avventura azzurra sarebbe continuata. E invece mi ero sbagliato, perché la maggioranza dei tifosi napoletani dimostrò affetto per Maradona e non altrettanto affetto per i nostri calciatori, mettendosi incredibilmente a fare il tifo per lui e non per l’Italia», scrive.
«E infatti, come mi hanno confessato in seguito, molti nostri ragazzi avevano la sensazione di essere in trasferta e non in casa».
La verità è che Napoli tifò per l’Italia ma non contro l’Argentina, perché Maradona e i suoi compagni vennero rispettati dall’esecuzione degli inni nazionali all’ultimo dei rigori, al contrario di quanto fece il pubblico dell’Olimpico sei giorni dopo in occasione della finale della Seleccion contro l’Argentina. La verità di 32 anni fa è quella di una Nazionale così impaurita dal confronto con i campioni del mondo in carica da portare Roby Baggio in panchina: entrò a un quarto d’ora dalla fine, dopo l’uscita a vuoto di Zenga che permise a Caniggia di pareggiare. E dal dischetto gli argentini segnarono 4 rigori su 4 mentre Serena e Donadoni commisero errori fatali. Chi era negli spogliatoi dell’Argentina ricorda che si ascoltarono urla in italiano da chi indossava divise di ordinanza: «Maradona, ve la faremo pagare»
Fonte: Il Mattino