Un lungo addio. Lunghissimo. Raymond Chandler avrebbe aggiunto qualche capitolo al suo libro. Insigne sbiadisce nel ricordo di un giro di campo. Dentro quella mano agitata piano, un vessillo di resa. Per molti. Per altri un gesto di liberazione. Mi ha ricordato il capitano Achab inchiodato dai legacci dei ramponi sul fianco di Moby Dick, con la gigantesca balena bianca che si inabissava e riemergeva dai flutti, mentre la mano del capitano seguiva il movimento oscillante della balena. Il braccio a piegarsi in un saluto. Lorenzo, il suo giro di campo. Il suo stadio pieno, in piedi, ad applaudirlo. Per una volta compatto. Senza contraddizioni. I napoletani popolo di contraddizioni ma che dentro gli addii sanno levarle via. Lavare via la discordia. Lorenzo Insigne, figlio mai primogenito di questa città a tenere i suoi figli per mano. Anche loro con la maglia azzurra addosso. Quella maglia che Lorenzo indossava, ma che non gli è stata mai cucita sulla pelle, con il brillìo dell’azzurro mai sfolgorante. Perchè stinto dal rancore. Covato, brontolato, esploso. Lorenzo cammina, in un pomeriggio di Maggio. Una Domenica che potrebbe essere come le altre. Perchè anche oggi è uscito dal terreno di gioco prima che la clessidra del tempo segnasse il minuto novanta, come tante altre volte è già capitato. Ma stavolta sapeva, Lorenzo, sarebbe accaduto. Lo si è visto. Per come ha abbandonato il prato, un turbinio di pensieri nella mente. Gli occhi in circolo, a vagare. Un sospiro. Piccoli passi, come quelli che eseguiva, calciando i rigori. Ne ha sbagliati tanti. Ne ha segnati tanti. Non sapeva tirarli, Lorenzo. Forse nemmeno voleva tirarli. Però lo faceva lo stesso. Con dentro un peso immane a schiacciarlo. Troppa responsabilità in quei passi brevi. Hai voglia a cantare che non è da un calcio di rigore che si vede un fuoriclasse. Lorenzo ogni volta che tirava, forse, sentiva il cuore frullare nel petto. Come un uccello che vuol fuggire via. Da quel dischetto sarebbe forse fuggito anche lui. Perchè tirare i rigori da napoletano è diverso. Tirarli per far felice un popolo, nel boato del gol, troppo capace di affidare quella napoletanità ereditata a chi viene da fuori confine, piuttosto che ad uno di loro. Storia antica. Invece si prendeva la responsabilità, che gli affidavano sempre. Incapaci di comprendere appieno la difficoltà insidiosa che si celava dentro quegli undici metri. La distanza dal paradiso o dall’ inferno. Lorenzo che non è mai fuggito con il favore delle tenebre, ed è restato. Con il gravare delle macerie addosso. Colpevole additato senza remissione da una tifoseria che non perdona niente. Se sei come lei, pensi come lei, ami come lei, odi come lei. Lorenzo che ha spaccato in due una città. Lorenzo, che sapeva solo eseguire il “tiraggiro”. Dicevano i detrattori. E con quel tiraggiro ha segnato al Belgio. Ai campionati europei. Non ci era mai riuscito nessun calciatore del Napoli. Basterebbe questo. Ma chissenefrega della nazionale. Lo scudetto, il solo idolo pagano adorato da queste parti calcistiche. Sfiorato, accarezzato, mai vinto. Forse quella maglia sarebbe stata meglio cucita addosso, quel colore più azzurro. Non sbiadito dal malumore, con quel triangolo a lampeggiare su qualche centimetro di stoffa. Lorenzo amato, odiato, vilipeso, abbandonato, ritrovato, nel momento in cui ogni cosa andava bene, ripudiato ancora, poi. Lorenzo dei mugugni, dei conflitti, delle rivolte silenziose, degli spogliatoi spaccati. Lorenzo del gol al Dortmund. Che lo fece Re. Per un tempo brevissimo. Lorenzo Insigne, contraddizione egli stesso, eppure certezza. Lorenzo precipitato nella, polvere. Lorenzo Insigne ed il suo numero 24 che migrano a Toronto, perché, come dicono i suoi detrattori, solo in Canada, terra di hockey e di basket, mai di football potrà trovare la sua reale dimensione. Gulliver tra i lillipuziani. Il Canada, terra di spazi e cieli azzurri. Dove potrà tirareaggiro senza essere deriso. E calciare un rigore senza udire il cuore frullare nel petto. Dove potrà correre libero, con l’azzurro eternamente negli occhi. Il lungo addio ha ancora un altro capitolo da scrivere.
di Stefano Iaconis