Lettera al capitano del Napoli – “Caro Lorenzo, l’importante è che ci siamo divertiti”

Lettera al capitano del Napoli

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Caro Lorenzo,

Factory della Comunicazione

domenica giocherai la tua ultima partita nel nostro stadio, che da un anno e mezzo ha tolto l’onere e l’onore del nome a un santo cattolico per darla a un dio profano, anzi, al D10S del calcio per eccellenza. Un viaggio lungo e tortuoso, fatto di cadute, errori, momenti di gioia incredibili, di sogni infranti sul più bello e nel peggiore dei modi. Ma se è vero che non conta tanto la destinazione quanto il viaggio, allora è normale chiedersi: cosa resterà di tutto questo? Sei stato il primo calciatore che ho visto giocare dall’inizio della propria carriera, che ho visto scendere in campo ragazzo e poi uomo per la squadra del proprio e del mio cuore. Posso dirlo? Non succede spesso al giorno d’oggi e vedere te riuscire a realizzare questo sogno è stato fantastico. Io e mio padre abbiamo sempre pensato che avresti finito la carriera da centrocampista, perché i piedi per impostare li hai e le gambe, dopo anni a correre avanti e indietro sulla fascia, non avrebbero retto più a un certo punto, complice anche l’infortunio al ginocchio di tanti anni fa. Ho sopportato l’addio di Hamsik, che mi trasmetteva una sorta di inconscia sicurezza quando entrava in campo e vedevo il numero 17, perché c’eri tu da tanti anni e mi trasmettevi sicurezza, ma supererò anche il tuo, nonostante il senso di smarrimento che proverò nel non vedere più quel numero 24 o nel vederlo indossare da altri. Resteranno i rimpianti per qualcosa che non c’è stato e che poteva essere il coronamento di una carriera spesa per la squadra del proprio cuore? George Best disse: «Fra qualche tempo vi dimenticherete di tutte le parti di cui sarà meglio dimenticarsi e ci sarà soltanto il calcio. E se uno soltanto di quelli che mi hanno visto giocare penserà che io sia stato il migliore di sempre, allora non avrò vissuto invano». Sì, di sicuro rimpianti e rimorsi ci saranno, ma resterà anche e soprattutto la gioia per il gol alla Fiorentina nella finale di Coppa Italia, lo stop al volo e successivo tacco sulla linea laterale lasciando Carlos Sanchez a chiedersi ancora adesso dove sia il pallone, la punizione contro il Borussia Dortmund, il mezzo pallonetto contro la Sampdoria, il gol con la fascia di capitano contro i doria al San Paolo dopo la fine del calvario dell’infortunio, il gol al Bernabeu, i lanci sempre perfetti e con il contagiri per Callejon, le diagonali difensive, le ripartenze, il tiro a giro che, ripetuto sempre ci ha fatto imprecare, ma, se ti riesce, è un arcobaleno di poesia, il gol al Belgio (forse il punto più alto della tua carriera), le lacrime e le responsabilità prese nel tirare rigori pesanti, magari sbagliandoli, ma avendo il coraggio di portarsi il peso sulle spalle. Vederti urlare contro la squadra a Sassuolo è il simbolo di quanto ci tieni a questa squadra, come le lacrime contro la Juventus in Supercoppa e contro la Roma, e il bacio alla maglia, che all’inizio non sopportavo dopo l’annuncio del tuo addio, ora lo interpreto nel modo corretto come un legame che, professionalmente, può finire, ma sentimentalmente non si spezzerà mai. E allora è giusto salutarci con una lacrima agli occhi, lasciandosi affliggere da qualche rimpianto, ma, presto o tardi, nel cuore di tutti resterà solo la gioia provata nel vederti fare una delle cose elencate sopra (molte non le ho messe, ma la lista sarebbe veramente lunga) e che sono rimaste impresse negli occhi di chi ti ha sostenuto.

Ciao Loré,

Buona fortuna.

P.S. Se non ti piacesse il Canada, rinnovo la proposta del presidente: ti accoglieremmo a braccia aperte.

A cura di Simona Ianuale

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