Freddy Rincón: la storia. Finì anche ingiustamente in carcere
Freddy Rincón era soprannominato il colosso di Buenaventura. Fisico d’acciaio, a Napoli era arrivato nell’estate del ’94, un’estate molto particolare. Dopo l’eliminazione della Colombia, la sua nazionale, dai Mondiali americani, il difensore Escobar – “colpevole” di un’autorete contro gli Usa che aveva fatto saltare il giro delle scommesse clandestine controllato dai narcotrafficanti – era stato ucciso a colpi di mitragliatrice. Freddy, che era stato prelevato dal Palmeiras (società di Tanzi, amico del Napoli), non fece riferimento a quel dramma quando si presentò nella sala stampa del Centro Paradiso, dove all’epoca vi erano uffici e campo di allenamento del club azzurro. Il Napoli era sotto la presidenza di Ellenio Gallo, facoltoso uomo d’affari di Padula che aveva vissuto per un lungo periodo in Venezuela. Corrado Ferlaino gli aveva ceduto la guida del club dopo essere stato coinvolto nella Tangentopoli napoletana. La squadra allenata da Marcello Lippi era riuscita ad afferrare la qualificazione alla Coppa Uefa, con il gol di Paolo Di Canio a Foggia. Per sostituire il futuro ct mondiale venne scelto Vincenzo Guerini. Durò poco, perché quel Napoli partì malissimo e così la società – erano intanto entrati come soci i fratelli Mario e Salvatore Moxedano, imprenditori di Mugnano – decise di esonerarlo dopo i cinque gol presi in casa della Lazio, scegliendo come suo successore Vujadin Boskov proprio nelle ore in cui gli azzurri si preparavano a giocare una partita di Coppa Uefa ad Oporto. Rincon era partito male con Guerini, che lo faceva giocare da prima punta. Non andò meglio con Boskov, che lo utilizzava da trequartista. Freddy non riuscì a esprimere il suo talento – aveva un tocco di palla delizioso – né la sua forza e la sua corsa. Giocò 28 partite e segnò 7 gol in quella stagione, ma soprattutto non riuscì a legare né con la squadra né con l’ambiente.
«Non vedo nessuno, se esco di casa i tifosi mi insultano», disse in un’intervista, un po’ esagerando. Segnò due gol alla Lazio, dando al Napoli un punto prezioso nella volata per la Coppa Uefa. Ma all’ultima giornata sfumò la qualificazione. Nessuno rimpianse Freddy, che intanto si era piazzato al Real Madrid, dove si trovò ancor peggio perché – sostenne – era stato preso di mira per il colore della sua pelle dagli ultrà estremisti di destra. E così se ne tornò in Brasile, nel Palmeiras. Tre Mondiali, ricordato in Colombia per il gol del pareggio contro la Germania a Milano nel 1990, non ebbe fortuna come allenatore.
Di lui si parlò nel 2007 quando venne spiccato un ordine di cattura nei suoi confronti perché accusato di far parte del clan del narcotrafficante Montano. Andò in carcere, fu processato, dopo nove anni alla gogna venne assolto. Ma il calcio non gli avrebbe dato altre possibilità, se non sporadiche apparizioni televisive come come polemico opinionista. I ricordi di Napoli? In una intervista di qualche anno fa parlò della simpatia di Vujadin Boskov e del talento dei giovani compagni Fabio Cannavaro e Fabio Pecchia. Il suo migliore amico, in quei mesi napoletani, fu un tassista. Armando Aubry ne raccoglieva gli sfoghi e ne asciugava forse qualche lacrima. F. De Luca (Il Mattino)