Chi si ferma è perduto. A Bergamo c’è in ballo la gloria. Se il Napoli vuole lottare per lo scudetto, oggi deve vincere. E Spalletti lo sa: «Purtroppo è il destino di tutte quelle che sono lassù, questo. Se freniamo, dovremo cominciare a pensare al quarto posto». Non era semplice regalarsi un bivio così emozionante, a otto giornate dalla fine e il primo posto ad appena tre punti. Spalletti è sereno e alla vigilia si affida persino a San Francesco: «Noi tutti diventiamo ciò che amiamo», dice.
Spalletti, c’è la solita emergenza? «Se siamo arrivati così in alto, è proprio per la nostra capacità di vincere le partite anche avendo tanti assenti. E come abbiamo vinto quattro o cinque volte, possiamo farlo anche sei o sette volte…».
È la partita della verità questa con l’Atalanta? «È una partita tra due squadre che devono guardarsi negli occhi, perché quando si abbassa lo sguardo si perde. L’Atalanta sa mantenere forza e ritmo, ha una qualità altissima, è costruita bene. E non basta solo una giocata, una finta o una contro-finta per poter vincere. Ci aspettano 95′ di sportellate».
L’eliminazione della Nazionale quanto male fa alla serie A? «La cosa giusta è continuare con Mancini, perché la strada che ha tracciato è quella corretta e poi perché ha portato giovani nel gruppo che sono validi anche per il futuro. Ha vinto un titolo importante come l’Europeo e poi può darsi che si possa sbagliare una partita come è successo, ma la qualità del gioco e dei calciatori è sotto gli occhi di tutti. È chiaro che ci sono cose da migliorare».
Per esempio? «Siamo indietro negli stadi e nelle strutture che servono per lavorare meglio: in un Paese che funzioni servono infrastrutture e noi stiamo indietro perché non ci sono stadi di proprietà che sono fondamentali. E c’è poi anche un problema culturale, ovvero la ricerca della vittoria a ogni costo fino a quando siamo nelle scuole calcio. C’è quasi un’ossessione della vittoria nei settori giovanili, conta solo quella e fare gol e non il bel gioco. E non si dà la possibilità ai ragazzini di giocare serenamente, senza andare solo a cercare di vincere il torneino da bambini. Il settore giovanile non si misura dai tornei vinti ma da quanti giocatori si è riusciti a far crescere. Da noi non è così».
A proposito di giovani, lei oggi potrebbe far giocare Zanoli? «Certo, è pronto, prontissimo. Se non lo ha fatto ancora è perché lì davanti a sé già il terzino più forte che c’è, Di Lorenzo. Ma il secondo giorno che l’ho visto in azione a Dimaro, la scorsa estate, ho detto che uno come Zanoli sarebbe stato perfetto per essere titolare proprio contro una grande squadra come è l’Atalanta. Ma anche Malcuit ha le qualità per non far rimpiangere Di Lorenzo».
Cosa teme di Gasperini? «Gasperini è uno di quelli bravi, quello che ha realizzato a Bergamo progetto importante, con la squadra che è stabilmente in Europa. Ma se noi siamo così in alto e perché abbiamo vinto con una squadra non al completo tante volte».
Le assenze non sono poche, però. «Se non ci date in alcun stato di emergenza siamo felici. Siamo apposto così. Ma è chiaro che la partita sarà da terra che trema sotto i piedi, perché loro si inseriscono e vanno sempre allo stesso modo ma durante la stagione abbiamo rimesso a posto momenti difficili anche nel riprendere in mano le situazioni difficili. Posso usare le parole di Koulibaly?».
Certo. «Da oggi alla fine del campionato siamo tutti napoletani. L’atteggiamento che vedo nello sguardo racconta molte cose. Ed è lo sguardo giusto. Quel che conta è che non ci sia in giro chi faccia contro di noi il gioco delle tre carte…».
I deferimenti di queste ore le danno fastidio? «Quello per Juventus-Napoli non lo capisco. Penso che siamo il club che ha fatto più segnalazioni per calciatori positivi al Covid… Come abbiamo rispettato noi il protocollo non credo ci sia nessuno».
Insigne si è ripreso dall’eliminazione dai Mondiali? «Magari può essere turbato dalle cose che avvengono attorno, ma quando è con noi nessuno se ne accorge mai. Poi fa delle cose in allenamento che non fa vedere in partita e questa cosa un po’ mi spiace».
Oggi ritocca a Mertens. «Se diventiamo ciò che amiamo, normale che Mertens sia diventato napoletano. A parte i tifosi, a Ciro Romeo deve dimostrare di che pasta è fatto il suo papà. Ha un tifoso in più. Pochi stranieri si sono integrati in una città e in una tifoseria come lui, ed è una qualità unica, rara. Spero che oggi mi presenti il conto di tutte le volte che non l’ho scelto e che non l’ho fatto giocare».
IL Mattino