Testa e cuore, occorreva questo a Verona. E quando la testa di Osimhen ha incrociato il cuore del suo Napoli, il «miracolo» s’è compiuto e gli azzurri si sono scrollati di dosso le preoccupazioni hanno riportato la chiesa, il pallone, al centro del villaggio. Spalletti ha rielaborato un 4-3-3 plasticamente elegante, infarcito di palleggio ma anche di personalità sfacciata. Il Napoli l’ha interpretata con umiltà e intelligenza, ha guardato in avanti ma non ha mai ignorato di darsi un’occhiata alle spalle. In una partita chiaramente sporca, tanti duelli e ovunque, Anguissa si è concesso di sfilare come se fosse su un tappeto rosso, Lobotka si è sottratto alla prigionia di Barak abbassandosi e, per evitare trappole, Spalletti ci ha aggiunto dell’altro alla distanza, nella ripresa: 4-1-4-1, con lo slovacco tra le linee e le corsie presidiate (dal 18′) da Elmas e da Insigne. Il Napoli si è preso i dettagli, ha colto i momenti e l’irrazionale distrazione di Ceccherini. Elmas per Di Lorenzo per l’incursione ed il tap in di Oshimen: una sentenza. Pareva finita, invece un traversone diabolico, uno stacco di Faraoni per l’1-2 e altri 13′ (ma 20′ con il recupero) di vibrazioni, di cartellini rossi, di relativa ansia per il Napoli che si è messo a fare ciò che gli viene meglio: palleggiare, in scioltezza, nel dominio di se stesso.
CdS