Fu lui a mettere il sigillo. E dopo, a braccia aperte, il volto trasfigurato dalla gioia, in una corsa sfrenata verso chissà dove. Ricevette il passaggio da Carnevale, lanciato in campo aperto. Forse, Andrea, toccando la palla lateralmente per il suo compagno in campo aperto, al limite dell’area di rigore, sospirò di disatteso piacere. Avrebbe preferito ci fosse, al suo fianco, Diego. O Giordano. Invece ci trovò Giuseppe Volpecina. Con quella andatura caracollante ed un pochino sbilenca. Colpì la palla d’interno sinistro, Volpecina, con un colpo da maestro, con quello che oggi, i figli di un tempo cadenzato da neologismi calcistici cui si attinge a piene mani, chiamerebbero un “tiro a giro”. Solo che Giuseppe Volpecina, casertano che ebbe la ventura di segnare a Torino, contro la Juve, in un pomeriggio crepuscolare, rischiarato dall’azzurro dei vessilli di ventimila cuori azzurri assiepati nella curva Maratona, quel tiro lo mise ad occhi chiusi. Un portento di esecuzione al termine dell’ ultima ripartenza del Napoli in una partita epica. Il gol dell’ uno a tre. Il sigillo. Quello che frustò il destriero del sogno verso il suo orizzonte. Juventus Napoli, quella del nove novembre del millenovecentoottantasei Storia oggi, come allora. Volpecina mise il sigillo, al forziere con dentro il tesoro del suo Re. Un Re sollevato in aria, pugni al cielo, da Renica. Immagini custodite nel cuore. Per sempre. Volpecina corse a perdifiato, dopo il gol, perduto dalle telecamere golose di un entusiasmo contagioso. Corse, con dentro una frenesia dolce. La stessa di quel popolo che ondeggiava in quella curva Maratona novembrina, in uno stadio comunale per una domenica pavesato da Fuorigrotta. Tacconi si distese in tuffo per quanto era lungo, e guardò la palla infilarsi alla sua destra, con quella traiettoria che mai avrebbe immaginata possibile, scagliata dal piede ruvido di un calciatore anonimo, toccato dalla magia che gli dei del calcio gli posarono su quel piede sinistro in un pomeriggio speciale. Quel gol riecheggia ancora. Fu il sigillo di ceralacca alla missiva che il Napoli indirizzò al campionato. Un gol straordinario. Bellissimo. Incredibile come, quel sigillo alla partita, non lo mise nessuno dei prìncipi azzurri, ma il loro piccolo scudiero casertano. Un comprimario salito alla ribalta, come in ogni storia dal finale a sorpresa. Volpecina vestì l’armatura, sfidando in campo aperto il destino atteso da sempre. Correndo poi, nel vento, con un mantello azzurro sulle spalle.
Stefano Iaconis