Le domeniche di Renzo Ulivieri sono sempre uguali, dal 1965 a oggi: in panchina. Anche ieri il presidente degli allenatori era su un campo, a 80 anni ben portati, quello di Arenzano, con il suo Pontedera femminile che ha sfidato il GenoaWomen.
La vita è stata sempre a sinistra di un maestro del calcio. Mihajlovic, però, parlò bene della Lega? «Sinisa è un allenatore che apprezzo molto, calcisticamente mi garba. Ma politicamente vive fuori dal mondo».
Che Bologna-Napoli sarà? «Dalle mie parti si dice “Esse’ come lo strolago di Brozzi”. Non lo so come finirà… Sono sicuro però che sarà una gran bella gara, con un Napoli che tecnicamente mi appare assai superiore al Bologna. Ma questa serie A conta tutto molto poco, perché si è tornato a segnare tanto, tantissimo. E anche a
Coverciano stiamo iniziando a occuparci di questo fenomeno, ne stiamo prendendo atto».
Ovvero? «È una serie A intrisa di cambiamenti sul piano tattico, piccole squadre che vanno fuori e giocano a viso aperto, tanti gol. È stata scelta la strada dello spettacolo. E quindi stiamo affrontando la questione: l’arte di difendere diventa ancor più importante. E allora ecco le nostre lezioni: bisogna usare nel difendere la spada e non solamente il fioretto».
Anche Spalletti è finito al centro di una sua lezione. «Vero, portai come esempio il primo tempo del Napoli con la Juventus al Maradona. Luciano fu sublime: piuttosto che farsi prendere dalla sconforto lui decise di andare a prendere la Juventus, di saltargli addosso. Ci sono frangenti in cui un allenatore si aggrappa a qualche arrangiamento perché non ha altro da fare. Spalletti non lo fece, non lo fa quasi mai in realtà: non è solo questione di senso tattico ma anche mentale».
Un po’ quel Napoli si è perso? «Deve dimenticarsi del passato. A cominciare dalla brutta gara con la Fiorentina».
Colantuono dice che giocare senza 11 giocatori non ha senso. «Lui ha ragione, è tutto falsato. Ma lo è ogni cosa, anche il Giro d’Italia o il campionato di pallacanestro. È un mondo stravolto da questa epidemia, ogni aspetto della nostra vita lo è. E allora bisogna farsi forza: anche io sono venuto a giocare col Pontedera qui con il Genoa con solamente undici ragazze. Recuperate non so neppure io come».
Si arrabbia con le ragazze come faceva con i ragazzi? «Uguale, solo che sto più sulla difensiva. Perché loro sono più aggressive, più cattive».
Meglio litigare con loro che con Baggio al Bologna allora? «No, no. Meglio con Roberto. Lì le questioni nascevano ma poi nel breve riuscivi a risolverle. Adesso è diverso, più complicato. Ma è un movimento in grande crescita, in Campania ci sono società importanti ma nel tesseramento siamo ancora a numeri bassini».
Più complicato l’anno con Baggio o quello a Napoli? «Senza dubbio quello a Napoli: perché la squadra era al primo anno di B dopo i fasti di Maradona e tutti si aspettavano che ogni gara si vincesse giocando un calcio spumeggiante. Non ci sono riuscito solo per colpe mie».
Diceva Lucio Dalla che Napoli e Bologna sono molto simili. «Napoli è una città molto più difficile di Bologna dove fare calcio. Perché per giocare con la maglia azzurra non devi essere solo uno tecnicamente bravo ma devi avere anche attributi fuori dal comune. Per questo a Napoli ho fallito: perché sbagliai tipo di calciatori, scelsi in base alla tecnica e non al carattere. Fui io a far sbagliare Juliano che dava retta solo a me».
Pino Taormina, Il Mattino