El Diablo: «A Toronto Insigne è già un idolo, e che tifo per le squadre italiane»

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Era il 1995 quando ha attraversato l’oceano per atterrare a Toronto. 27 anni prima di Lorenzo Insigne. Non per giocare a calcio, bensì a pallacanestro. Enzino Esposito, El Diablo, è l’uomo dei 13,286 punti in carriera, tre volte miglior realizzatore in A e due volte Mvp, ma anche il primo italiano a firmare un contratto e a segnare punti nel campionato Nba. Giocatore dal talento esagerato (Tanjevic lo fece esordire in A a 15 anni!), uno dei più grandi della storia del basket italiano, per molti il numero 1 assoluto. Era il 1995 quando andò in Usa, 4 anni dopo lo scudetto di Caserta, cui lui aveva contribuito prima di rompersi i legamenti nella partita finale. Enzo poi passò nel 1993 alla Fortitudo Bologna, giocando due stagioni memorabili. Quindi il contratto con i Toronto Raptors. All’epoca una roba da non credere. Oggi Enzo vive a Imola ed ha intrapreso dal 2009 la carriera di allenatore, vincendo nel 2016 (quando era a Pistoia) il titolo di miglior allenatore dell’anno.
Enzo, a distanza di 25 anni, che ricordi hai di quell’esperienza?
«Giocare in Nba è il sogno più grande che possa esistere. Ero un ragazzo di Caserta che giocava in Nba, il campionato delle superstar. Una favola. Dovevo andare a Cleveland, poi ci fu il lockout, una sorta di sciopero per una disputa tra Lega e giocatori, e finii a Toronto. Città di cui ho un ricordo straordinario, una delle più organizzate e ordinate che io abbia mai visto. Un modello assoluto, un posto super per vivere. Tutto funzionava in modo incredibile e immagino che oggi sia migliorata ancora. Poi se si esce fuori città c’è il paradiso della natura, boschi, cascate, laghi, tutto incontaminato».
Il clima rigido fu un problema?
«Certo, fa molto più freddo di qui, i tre mesi invernali sono tosti, costantemente sotto lo zero. Ma la verità è che non te ne accorgi tanto, riscaldamento potente ovunque, palasport con clima perfetto, strade ripulite dalla neve continuamente, si circola in auto senza problemi. Se ti copri bene, non ne soffri. E poi fu un po’ come stare a casa ma a distanza di 7mila chilometri».
In che senso?
«Oltre 1 milione mezzo di canadesi sono italiani o hanno origini italiane e a Toronto ce ne sono più di 700mila. Una comunità gigantesca, di prima, seconda o terza generazione. C’erano oltre sei pagine di Esposito sull’elenco telefonico. Questa italian way of life si è infiltrata a tal punto che oggi non si mangia italiano solo nei ristoranti italiani ma anche nelle case dei canadesi. E pure l’abbigliamento è molto europeo e poco americano. Ti dà l’idea di una città nostrana».
E la lingua?
«Io trovai tantissime persone che parlavano quello che loro definiscono l’italiese’, metà italiano e metà inglese. Come i classici paisà. Perché magari avevano i nonni o i bisnonni italiani. Io lo parlavo già bene l’inglese ma Insigne non avrà problemi».
E il calcio a Toronto?
«All’epoca esisteva l’hockey, che si giocava pure in strada tra i ragazzini. E il baseball, con i Bluejays che erano fortissimi. Il basket cominciava ad avanzare, il calcio poco o nulla. Ma amici canadesi mi dicono che oggi il calcio è in crescita, che quando gioca l’Italia a Toronto la gente sta attaccata alla tv e fa un tifo d’inferno. Insigne sarà accolto come un re. Per me invece fu dura all’inizio, c’era scetticismo, i giocatori extramericani in Nba erano una rarità. Due situazioni agli antipodi. Lui è un idolo ancora prima di partire e va in un campionato che deve crescere. Io ero entrato nel regno del basket mondiale da sconosciuto. Ma dopo i 18 punti segnati al Madison non mi guardarono più dall’alto in basso».

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Stefano Prestisimone (Il Mattino)

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