Mertens è il Napoli, ormai da nove anni: ci è entrato in punta di piedi, esterno di sinistra, poi si è sistemato – petto in fuori – sul trono che gli appartiene del tutto ed è sufficientemente blindato, almeno sino a quando un altro fenomeno non si presenterà al «Maradona» con veroniche perfide e incantevoli pallonetti, capaci di disegnare arcobaleni: «Questo gruppo può sicuramente arrivare sino in fondo, dobbiamo riprenderci e giocare come sappiamo». E comunque, per ritrovare Mertens, è dovuto anche intervenire il destino, perché è fatale che in una squadra con talenti cosi extra-large, le gerarchie venissero rivoluzionate: Osimhen, un uomo per i sogni, si è arreso a San Siro, e là davanti, a un certo punto, Spalletti è dovuto intervenire ancora, rispostando gli uomini e ritoccando le idee. Mertens centravanti, mica falso nueve, è servito per rinfrescare movimenti che sono sempre appartenuti allo scugnizzo di Lovanio, e che sono riemersi dalla brume di un incidente alla spalla che prima l’ha frenato e poi, a giugno, l’ha mandato in sala operatoria: quando è tornato, inevitabilmente, ha trovato il proprio posto occupato da un amico travolgente, capace di rubare l’occhio alla gente e lo spazio agli avversari.
Il Mattino