Michele Uva: “Kalidou alleato dell’Uefa contro quella che è una malattia sociale”
Michele Uva è il direttore di Football & Social Responsability dell’Uefa ed è in prima linea nella battaglia contro il razzismo.
Nuovi casi dopo la riapertura degli stadi si sono verificati a Torino e Firenze: come fermare questa ondata? In quale direzione sta lavorando l’Uefa? «Tutte le discriminazioni sono un vero e dilagante problema sociale e culturale. Purtroppo il razzismo da tempo sta cercando di entrare negli stadi di calcio, sia in quelli grandi che in quelli piccoli. L’Uefa ha sempre preso posizioni forti per combatterlo con azioni disciplinari, regolamenti sempre più stringenti e campagne di sensibilizzazione, o meglio di educazione, che girano intorno al nostro concetto chiave: Respect. Sono arrivato nove mesi fa per dirigere la divisione della responsabilità sociale e della sostenibilità. La nostra politica e la nostra linea di condotta prevede una forte accelerazione su questi temi e il piano strategico che sta per essere varato dimostrerà concretamente gli sforzi che andremo a fare nei prossimi anni».
L’ultimo caso ha riguardato Koulibaly che si è impegnato con l’Uefa nella campagna Equal Game. «Nella nostra lotta contro le discriminazioni abbiamo collaborato strettamente con numerosi giocatori, alcuni dei quali sono stati oggetto di insulti. Koulibaly è stato sempre molto disponibile e attivo in molte delle nostre campagne contro il razzismo, così come il Napoli che ci ha sempre supportato. Ricordo una visita insieme a Kalidou in una scuola di Milano per #Equalgame: bellissimo il suo entusiasmo e quello dei giovani che lo ascoltavano. Ha partecipato anche al nostro documentario Outradge, il calcio combatte il razzismo, una produzione che è stata distribuita in Europa e in Italia da Sky nonché in Sud America, Nord America e Australia. Invito tutti a vederlo. Kalidou per noi è un grande esempio da promuovere».
Le federazioni e le Leghe fanno abbastanza contro questo fenomeno? L’espulsione dei tifosi dagli stadi è l’unica contromisura o possono esservi ulteriori sanzioni a carico delle società? «Tutti stanno facendo la loro parte. Il razzismo lo vedo sempre come una grave malattia dell’attuale società civile, ma voglio essere anche positivo nel vedere che la larga parte dei tifosi sta dalla parte della civiltà e del rispetto. Spesso lo manifestano con dei comportamenti chiaramente di disapprovazione verso quella becera minoranza. La quasi totalità dei tifosi di calcio è dalla parte del rispetto, in linea con Uefa, federazioni, leghe e club. La nostra campagna Sign for an Equalgame durante l’Europeo 2020 ha raccolto 3,5 milioni di firme online ed è stato interessante per noi aver notato che la maggior parte dei firmatari sono stati i giovani. Misure suppletive da porre in essere? Le attuali esistono e vengono applicate. Bisogna andare alla radice del problema».
In un’intervista al Mattino Thuram ha dichiarato che i calciatori, i dirigenti e gli allenatori non avvertono il peso di questo problema: è vero che potrebbero fare di più, magari interrompendo le partite? «Thuram è una persona speciale ed è stato un mio giocatore a Parma. Devo dissentire quando dice che calciatori, allenatori e dirigenti non avvertono il problema. Anzi, mi sembra di vedere sempre di più un forte coinvolgimento di tutti su questi temi e l’esempio di Koulibaly è chiaro, come quello di Costacurta. In ogni caso penso che tutti possiamo, anzi dobbiamo fare di più, a partire da chi ha le leve per poter azzerare questo orribile problema».
Come si vince la battaglia contro il razzismo? «Il nostro ethos è che il calcio è per tutti, proprio tutti senza distinzione. Questo sul campo ma anche fuori. Noi come Uefa investiremo tanto e sappiamo che siamo in grado di raggiungere miliardi di persone in ogni angolo del mondo con le nostre competizioni. Chiederemo di fare altrettanto ai nostri membri e a tutti gli attori della famiglia calcio, ma non possiamo vincere questa battaglia di civiltà se non si uniscono tutte le forze e le idee buone del Paese. Bisogna che la filiera educativa famiglia-scuola-sport sia un asse trainante, ma deve essere supportata dalla istituzioni nazionali e internazionali e dai media. Uniti si può, anzi si deve».
F. De Luca (Il Mattino)