Quella notte lo stadio arse. Centinaia di luci, come torce, nella sera di estate, ad illuminare uno stadio, il San Paolo, trasognato nel delirio di una vittoria. Una vittoria piccola, che oggi fa sorridere. Una vittoria che spiegava, all’ epoca, quale e quanta fosse la fame di vittoria di un popolo del tifo, che amava incondizionatamente. Aspettando sempre e comunque. Erano ancora lontani decenni i tempi insospettabili delle partecipazioni, un anno sì ed uno pure, alla compianta Coppa dei Campioni. Gli scudetti vivevano solo nei sogni. Maradona stava per vincere il mondiale juniores, in Giappone, con la nazionale argentina, ragazzini che sarebbero diventati, assieme a lui, i campioni che avrebbero sollevato dopo qualche anno in Messico la Coppa del Mondo. Quella autentica. Il Napoli usciva dall’epopea di Vinicio, con un unico trofeo in bacheca, quella Coppa Italia vinta a Roma, nel ’75, ottenuta battendo il Verona all’ Olimpico per quattro a zero. Ma quella notte d’estate di quarantatrè anni fa furono fuochi d’artificio e caroselli. Erano gli anni del “trofeo sport Sud”. Ogni estate, per qualche tempo, la società organizzò un quadrangolare a Fuorigrotta. Vi partecipava il fior fiore della nobiltà europea. Quelle sere del 1979, arrivarono il Bayern e l’Az ’67 di Alkmaar. Il Bayern era già all’ epoca lo squadrone che aveva vinto, tra il ’74 ed il ’77, la coppa dalle grandi orecchie per tre volte consecutive. L’ Az di Alkmaar era una delle squadra più forti d’Europa. Campione d’Olanda. L’Olanda anche chiamata arancia meccanica. Che l’anno prima aveva perso una finale mondiale ai supplementari proprio contro l’Argentina. Squilli di quel che sarebbe poi venuto. Un olandese ed un argentino. Uno a sfiorare quello scudetto sognato. L’altro a vincerlo, e realizzare tutti i sogni della città. Ci giocava Kees Kist, nell’Az, un centravanti scarpa d’oro. Oro come i suoi capelli. La quarta partecipante al torneo era l’Avellino. I cugini che, in quel tempo, si permettevano il lusso di battere la Juve, e di far tremare al Partenio le squadre più forti d’Italia. Il Napoli fece prima fuori il Bayern, mentre l’Avellino veniva battuto dagli olandesi. Così, il Napoli, si ritrovò, in finale. Una “finale” che era pur sempre tale. La fine, quella vera, la avevamo sfiorata un paio di stagioni prima, nella coppa delle Coppe, quando a Bruxelles il Napoli fu defraudato letteralmente della finale. Il gol annullato a Speggiorin validissimo, restò a lungo nei rimpianti mai metabolizzati dei tifosi azzurri. Una semifinale contro l’Anderlecht. Un altro squadrone. Di quella partita di ” finale” del torneo Sport sud, si è perduto ogni ricordo, ogni traccia. Il Napoli la vinse ai calci di rigore. Sugli spalti c’erano ottantamila persone. I riflettori erano ancora giunchi in ferro che si piegavano sotto il soffio del vento impetuoso, in inverno, riflettendo nembi di pioggia che scendevano trasversali, e nugoli di falene in estate, attratte dalle luci sfolgoranti. Quella notte migliaia di falene si gettarono verso quelle luci. Coinvolte nel tripudio di uno stadio festante. In delirio. Un delirio affamato. Ho ancora nelle orecchie il suono di quelle grida. Ancora vedo le centinaia di bandiere sventolare agitando il velluto della notte. E le sciarpe ondeggiare mentre le fila di tifosi ondeggiavano a loro volta seguendo il giro di campo della squadra con il trofeo sollevato. Fu bellissimo. Noi ancora non sapevamo che, poi, sarebbe stato ancora più bello. E che quella notte era solo un prologo. Di un libro che sarebbe stato scritto e mai più rinchiuso, nemmeno sopra i nostri ricordi.
Stefano Iaconis