Bianchi: “Ci creda il Napoli, questo è un campionato “Strano” “
Trentacinque anni fa il Napoli di Ottavio Bianchi iniziava l’avventura che a fine stagione avrebbe portato gli azzurri alla conquista dello scudetto e della Coppa Italia.
«Io avevo una fortuna: non erano quelli i tempi in cui gli allenatori davano le liste ai presidente per fare gli acquisti. Ti davano dei giocatori e ti dicevano ora faccia lei. Dunque, non mi era neppure consentito di essere contento o scontento».
Molto è cambiato e il tecnico dello storico trionfo del 1987 lo sa bene.
Bianchi, però il nome di Ciccio Romano lo fece lei?
«Macché, neppure quello. Io mi limitai a dire che avevamo bisogno di uno là nel mezzo del centrocampo. L’intuizione è stata di Pierpaolo Marino che lo prese dalla Triestina. Poi me ne affezionai: a tipi come lui e Fusi difficile rinunciare in uno spogliatoio».
Insomma, da un mercato non si usciva mai infelici?
«Mai. Quando ero giocatore, il modulo prevedeva obbligatoriamente il libero fisso. Ma mica sempre lo si prendeva da un’altra squadra: se lo inventava l’allenatore in base a chi aveva a disposizione. C’era anche più divertimento a fare certe cose».
Mourinho, Spalletti, Sarri ora come si divertono allora?
«Il calcio è cambiato in tante cose ma non nell’aspetto umano: e le motivazioni, la fame e la grinta che hanno loro è la stessa di quelli della mia generazione».
Che Napoli esce da questo mercato?
«Io fossi in Spaletti farei i salti di gioia: avere lo stesso organico, gli stessi calciatori, arrivare in un posto senza l’esigenza di dover fare chissà quale rivoluzione perché in fondo non si eredita una situazione complicata, non può che essere un punto di partenza esaltante».
Può vincere lo scudetto?
«È il solito anno strano: dopo i Mondiali e dopo gli Europei succede sempre che spunti qualche outsiders, qualche squadra che magari ha avuto giocatori meno impegnati emotivamente e fisicamente con le proprie nazionali. La sorpresa c’è sempre».
Dunque, chi?
«Il Napoli e l’Atalanta. Ma anche la Lazio. Anche se io non ne azzecco mai una, sia chiaro: però se la squadra di Gasperini fosse uscita prima dalla Champions e dalla Coppa Italia, lo scudetto lo poteva vincere anche l’anno scorso».
È un campionato più povero?
«Mica solo adesso perché sono andati via Ronaldo e Lukaku. È da tempo che c’è una emorragia di campioni, i nomi importanti vanno altrove, qui le rose in molti casi sono avvilenti. Da anni siamo in crisi. Anche se devo dire che la cosa non mi fa rabbia: ciò che proprio non sopporto è che chi comanda il carrozzone non fa nulla per far rispettare le regole economiche. Come si possono accettare club che vanno avanti travolti dai debiti? Come si fa a non premiare le società che non fanno mai il passo più lungo della gamba?».
Con chi ce l’ha?
«Beh, anche con l’Inter. Se è vero che non ha pagato per mesi gli stipendi, non credo che sia giusto che abbia vinto lo scudetto. Ai danni di chi come Atalanta e Napoli, per esempio, rispetta il fair play finanziario. E allora queste cose devono avere un peso, questa diversità non può non essere tenuta in conto».
Dunque, bene fa De Laurentiis?
«Io sarei fiero di avere un presidente così, virtuoso, attento al rispetto delle regole economiche. Ripeto: non puoi essere felice se vinci e poi scopri che dietro c’è un buco di decine di milioni di euro».
Dice Mancini che, ai vostri tempi, i campioni stranieri erano un esempio per tutti. Ora non è che ne vengono troppi?
«Facevo una considerazione pochi giorni fa vedendo Torino-Atalanta, ovvero la sfida tra i due club che hanno da sempre investito in maniera costante e massiccia sui settori giovanili. Ebbene, in campo c’erano solo due italiani. Poi solo stranieri. Ecco, io a quel punto ho la tentazione di schiacciare il tasto del telecomando e andare direttamente a vedere una partita estera. A me quello che non piace della serie A non è tanto che Lukaku sia andato al Chelsea o che Ronaldo ora è al Manchester United ma gli italiani con il contagocce. I dirigenti su questo dovrebbero interrogarsi».
È l’estate del ritorno di Mourinho, Allegri, Sarri, Spalletti. Che ne pensa?
«Ognuno di loro ha motivazione, volontà, voglia, l’ambizione di mettersi in gioco. Ma senza fare tanta retorica però: mica siamo dei minatori, noi allenatori. Facciamo un bel mestiere. E poi sa che le dico? Che io nel mio anno sabbatico dopo il Napoli, sono stato persino bene. Non è vero che mi mancava il calcio».
Cosa è la cosa che conta di più?
«Io penso che alla base di tutto ci debba essere il divertimento. Ecco, ognuno per ragioni differenti è rimasto fermo negli ultimi tempi. Spero che la loro decisione di tornare in panchina sia perché hanno ancora voglia di divertirsi. Se ci fosse solo una voglia di riscatto, di voler dimostrare quello che sono, sarebbe un errore. Era meglio se stavano a casa».
P. Taormina (Il Mattino)